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Terzo settore & politica: amici o nemici?

Il 17 novembre sui canali Facebook e Linkedin di VITA presenteremo il libro "Dare Spazio" di Carlo Borzaga, Cristiano Gori e Francesca Paini. Il volume mette a tema un nodo cruciale del nostro tempo: quali sono le responsabilità politiche del Terzo settore? Come oggi questo mondo si rapporta alla politica? Con quali difficoltà e quali risultati?

di Redazione

Il 17 novembre sui canali Facebook e Linkedin di VITA presenteremo il libro “Dare Spazio” di Carlo Borzaga, Cristiano Gori e Francesca Paini (Donzelli editore, 192 pagine, 17 euro). Il volume mette a tema un nodo cruciale del nostro tempo: quali sono le responsabilità politiche del Terzo settore? Quale consapevolezza hanno i soggetti sociale della loro funzione politica al di là della fornitura di servizi sociali e culturali? Come oggi questo mondo si rapporta alla politica? Con quali difficoltà e quali risultati? Il libro propone gli interventi di: Fabrizio Barca, Enrico De Corso, Luca Fazzi, Giulia Galera, Giuseppe Guerini, Gianfranco Marocchi, Raffaela Milano, Valeria Negrini, Ivana Pais, Michele Pasinetti, Paolo Pezzana, Stefano Quintarelli, Lorenzo Sacconi, Gianluca Salvatori e Felice Scalvini. Qui di seguito la prefazione di Francesca Paini

«Basta fatti, vogliamo promesse»: la frase, paradossale e bellissima, è una scritta su un muro di Genova e coglie a mio parere due difficoltà opposte -ed entrambe reali- nel rapporto tra i cittadini e la politica. Da un lato attinge al repertorio “da campagna elettorale”: è come se lo sconosciuto scrittore -evocando l’usurato slogan “fatti e non promesse”- alludesse alla vacuità delle promesse elettorali tante volte deluse. Dall’altro, però, lo slogan viene ribaltato: la mano anonima chiede di avere promesse, di poter immaginare, desiderare, sperare in un mondo diverso, non così brutalmente ancorato ai pesi e ai vincoli del presente… quelle promesse che la buona politica può far nascere. 

Ci voleva un paradosso per descrivere questa ambivalenza: abbiamo bisogno di politica, ma della politica non ci fidiamo più. Vale per i singoli cittadini, vale per intere categorie della popolazione (i dati sull’astensionismo elettorale mappano la geografia di questa sfiducia) e in qualche modo questa distanza interroga anche il Terzo settore che si trova -da corpo intermedio- in mezzo a questa tensione. Eppure il Terzo settore proprio in questa funzione intermedia trova il suo valore politico.  La sua forma democratica e inclusiva è una delle poche ‘palestre di democrazia’ rimaste: luoghi in cui si apprendono la fatica e le opportunità della partecipazione. 

Ha una funzione potentemente trasformativa: l’azione del Terzo settore cambia il profilo di una comunità, ne arricchisce i servizi e le opportunità, infittisce i legami sociali… Ha in sé una forza ideale, un motore che spinge una comunità verso la reciprocità, la cura, la coesione. Quando poi il Terzo settore si occupa di welfare, allora attiva una leva in più: riduce disuguaglianze, promuove diritti, guarda la politica negli occhi perché traduce in pratica il dettato costituzionale che certo non può essere demandato solo allo Stato perché diventi materia viva e opportunità per tutti.

Nei momenti di grande incertezza il Terzo settore può cogliere meglio di altri, politicamente, la sfida di immaginare un futuro diverso, eticamente connotato.

Spetta al Terzo settore, spetta a noi, trovare la fiducia necessaria per rompere le righe e staccarci da alcune incrostazioni che ci rassicurano ma ci impediscono di cambiare: quante cooperative devono ancora morire di gare di appalto al ribasso?

Il futuro non è una stanza vuota: è pieno delle conseguenze delle scelte che facciamo oggi; per questo ci viene incontro intanto che lo costruiamo. Quando il Terzo settore accompagna le comunità a immaginare un futuro comune e desiderabile, un mondo possibile insieme, libera una potente forza politica ed etica. Tanto più il mercato propone una razionalità economica estrattiva, centrata sull’efficienza e quindi attenta ai mezzi, in cui ciascuno compete con gli altri per il proprio vantaggio, tanto più alla socialità spetta il compito di occuparsi dell’interesse generale, di promuovere una razionalità politica, capace di esplicitare e condividere i fini, mettendo in dialogo i significati delle nostre scelte e cercando convergenze: per questo è politica ogni azione in cui le persone si confrontano sul futuro comune.

Spetta al Terzo settore, spetta a noi, trovare la fiducia necessaria per rompere le righe e staccarci da alcune incrostazioni che ci rassicurano ma ci impediscono di cambiare: quante cooperative devono ancora morire di gare di appalto al ribasso? Quanta forza imprenditoriale e impegno sociale vogliamo ancora spendere in progettualità che ci vedono solo come esecutori materiali?


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Chi mi conosce sa che lo ripeto spesso: la cooperazione sa fare una magia perché mutualizzando i bisogni li trasforma in risorse. Così dalla condivisione della miseria è nato il mutuo soccorso, dalla condivisione della fame sono nati i forni del pane cooperativi, dalla condivisione della disoccupazione le cooperative di lavoro e -come vedremo- dal desiderio condiviso di cambiare il mondo sono nate le cooperative sociali. Altre realtà di Terzo settore hanno condiviso, diversamente ma per certi versi analogamente, la scelta di mettersi in gioco perché -come recita un libro dal titolo felice- nessuno si salva da solo. 

Questa è la scommessa del Terzo settore di oggi: riscoprire nella vicinanza alle persone e alle comunità lo spazio per costruire diritti e democrazia, e rifondare su questa vicinanza un patto sociale inclusivo di cui abbiamo bisogno e che ormai è scomparso tanto dal linguaggio quanto dalle agende politiche e istituzionali.

In questo libro ci occupiamo di Terzo settore e politica, e più precisamente del modo in cui il Terzo settore è riuscito, nell’arco di 40 anni, a portare le istituzioni politiche ad accogliere istanze della società civile.  Sappiamo bene, lo abbiamo descritto sopra, che l’azione politica del Terzo settore è molto più ampia. Sappiamo altrettanto bene che il dialogo tra la società civile e le istituzioni è parte viva di una democrazia matura.

Sappiamo fin troppo bene che questo dialogo risente delle tensioni e dei cambiamenti che trasformano un Paese (e un mondo) che cambia. Questo libro si apre sugli echi post sessantottini per cui “l’impegno” era un valore e viene scritto in un momento in cui il neologismo “buonista” è usato come insulto; apre le sue considerazioni a partire da istanze nate nella prossimità fisica alle situazioni di marginalità e si chiude con uno sguardo sulle piattaforme digitali. 

Abbiamo provato a descrivere e comprendere come la capacità trasformativa del Terzo settore incontri le istituzioni politiche mentre il Paese muta affrontando nuovi problemi e crescenti disuguaglianze, e fatica sempre più a trovare spazi di rappresentanza in cui scorra il dialogo tra le persone, corpi intermedi e istituzioni: una fatica che attraversa interamente anche il Terzo settore.

Lo abbiamo fatto in forma di dibattito tra gli autori ma anche dando voce, attraverso i commenti e gli interventi diretti, a una pluralità di esperti, così da presentare una maggior varietà di punti di vista. A tutti loro va il nostro sincero ringraziamento e il merito aver reso la riflessione più approfondita e inclusiva. 

Lo abbiamo fatto perché rileggere la storia restituisce consapevolezza della propria identità. 

Lo abbiamo fatto per rendere espliciti strumenti e meccanismi che hanno reso possibili passaggi importanti nella storia delle politiche sociali, anche provando ad anticipare le sfide di domani.

Lo abbiamo fatto per ricordare le responsabilità politiche del Terzo settore.

Lo abbiamo fatto, soprattutto, nella consapevolezza che la vocazione politica del Terzo settore abbia oggi più che mai bisogno di essere evidenziata, valorizzata e coltivata perché la politica è il regno dei fini, e i fini abitano il futuro.

Francesca Paini

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