Il report del Governo

Terzo settore, i 120mila enti e gli altri numeri del Registro unico

Dalla prima analisi del Registro unico del Terzo settore - Runts risulta che iscriversi apre a opportunità economiche e migliora i rapporti con la Pubblica amministrazione

di Alessio Nisi

Un primo rapporto che «restituisce un importante patrimonio informativo di dati riguardo a un settore rilevante della nostra struttura economica e sociale qual è il mondo del Terzo settore», con la cui «riforma il Governo vuole restituire un protagonismo che mai ha avuto prima d’ora, attribuendogli il ruolo centrale e strategico che gli compete». Numeri e dati che, unitamente alla «pubblicità» e «alla messa in trasparenza degli enti», costituiscono «elementi centrali per rafforzare quell’imprescindibile legame fiduciario che questo settore deve avere con tutte le parti coinvolte, cittadini, decisori politici e istituzioni, base fondante per la crescita sociale e solidaristica delle nostre comunità».

Questi alcuni dei passaggi con cui Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali, ha chiuso il convegno dedicato alla presentazione della prima analisi del Registro unico del Terzo settore – Runts. Lo studio è stato effettuato grazie all’Osservatorio del Runts, promosso dal ministero del Lavoro e da Unioncamere sulla base di un accordo istituzionale. 

120mila enti

Questi i numeri. Dall’analisi risultano, al 31 dicembre 2023, 120mila gli enti del Terzo settore iscritti al Runts su circa 360mila istituzioni non profit censite dall’Istat. Un insieme che continua a crescere (a fine aprile gli stessi erano già 126mila) perché, come mostra una indagine campionaria effettuata sui 30mila enti non trasmigrati da altri registri, nati negli ultimi due anni, iscriversi conviene: apre a opportunità economiche, a partire dall’accesso al 5×1000, migliora i rapporti con la Pubblica Amministrazione e consente un maggiore accesso a fondi.

Il Registro unico del Terzo settore è stato istituito nel 2021 dal ministero del Lavoro con il supporto tecnico di Infocamere, la società di informatica del sistema camerale, mentre le analisi dello Osservatorio sono curate del Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne.

«La costituzione del Registro unico del Terzo settore», sottolinea  il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, «è un passo fondamentale verso il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo delle organizzazioni che lo compongono. Il Runts costituisce un concreto dispositivo di economia sociale, attraverso il quale gli enti del Terzo settore potranno contarsi, promuoversi, relazionarsi con gli altri soggetti a partire dalla Pa in un contesto di trasparenza».

90mila trasmigrazioni e 30mila nuovi iscritti

Per Alessandro Lombardi, capo dipartimento per le politiche sociali, del Terzo settore e migratorie del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, «il rapporto sul Runts, registro reso operativo a novembre 2021, copre a oggi un orizzonte temporale in cui tante attività sono state compiute». Tra queste «un massiccio processo di trasmigrazioni che ha coinvolto 90mila posizioni». Sul fronte dell’ingresso di organizzazioni che non facevano parte di altri registri, risultano «30mila nuovi iscritti, con 45mila domande presentate, un flusso tendenzialmente costante di ingresso nel Terzo settore».

Il Terzo settore cresce anche perché il Runts grazie alla pluralità delle categorie ha una capacità attrattiva che ha permesso ad altri mondi di entrare in questo insieme

Antonio Fici – docente nell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Ha sottolineato Lombardi poi come il registro sia stato «strumento propulsore di processi di processi che si sono innescati all’indomani dell’entrata in vigore del codice del Terzo settore». Tra questi, «una forte spinta verso la collaborazione inter istituzionale, che ha consentito alle amministrazioni di acquisire consapevolezza di far arte di un sistema unitario». Il Runts ha innescato anche «la costruzione dal basso del diritto vivente del Terzo settore» in termini di «semplificazione dei processi di iscrizione e della capacità degli enti del Terzo settore di costruire paradigmi di norme statutarie».


Gli altri numeri del report

Quali enti. Dai dati emerge anche che dei 120 mila enti registrati risultano in netta prevalenza associazioni di promozione sociale (oltre 52mila, pari al 43,7%), organizzazioni di volontariato (circa 37mila, pari al 30,7%) e Imprese sociali (quasi 24mila, pari al 19,9%). Complessivamente, quindi, queste tre tipologie di enti del Terzo settore rappresentano il 94,3% del totale degli enti registrati. Sono inferiori le quote relative agli Altri enti del Terzo settore (5,4%) e residuali quelle riferite agli altri soggetti.

In primo piano Alessandro Rinaldi, direttore studi e statistiche del Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne

I volontari. Dal registro risultano più di 2,5 milioni i volontari che prestano la propria opera negli enti del Terzo settore, la maggior parte dei quali operanti nelle organizzazioni di volontariato (65,5%, corrispondenti a quasi un milione e settecentomila unità) e nelle associazioni di promozione sociale (23,9%, oltre 600mila unità). A questi si aggiungono quasi 55 mila lavoratori, concentrati per il 43,3% nelle Odv, 27,5% nelle Aps e 26,4% negli Altri enti, mentre nelle imprese sociali si stima ci siano quasi 470mila lavoratori.

La mappa. Se la concentrazione di enti del Terzo settore è elevata nel Mezzogiorno (31,6%), seguito da Nord-Ovest (23,3%), Centro (23,2%) e Nord-Est (21,9%), i dati rapportati alla popolazione residente evidenziano una presenza relativa più significativa nell’Italia orientale (237,6 enti del Terzo settore per 100mila abitanti) e in quella centrale (227,6), con il Mezzogiorno a seguire (190) e infine il Nord-Ovest (176,4). Le prime tre posizioni sono occupate da Bolzano (433,6 enti ogni 100mila abitanti), Rieti (362,9) e Trento (350,6), seguite da Firenze, Terni e Biella (con valori compresi tra i 309,5 e i 301 enti ogni 100mila abitanti). Solo una provincia del Sud è presente nella top ten: Isernia, con 295,3 enti ogni 100mila abitanti.

Che fanno. Oltre un quarto degli enti opera nelle attività ricreative e di socializzazione (26,5%). Altri ambiti particolarmente rappresentativi sono: assistenza sociale e protezione civile (23,2%), attività culturali e artistiche (19,8%) e sanità (13,1%). Per quanto riguarda le imprese sociali i principali settori di operatività sono sssistenza sociale e protezione civile (48,7%), sviluppo economico e coesione sociale (30,7%) e istruzione e ricerca (10,1%).

Come si sostengono. Il 5×1000 rappresenta una straordinaria opportunità di finanziamento per il Terzo settore. Il 40,4% degli enti del Terzo settore (al netto delle imprese sociali) ha dichiarato di essere accreditato al 5×1000, soprattutto enti filantropici (73,3%), reti associative (71,4%), altri enti del terzo settore (61,0%) e organizzazioni di volontariato (48,3%).

L’intervento di Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali

I dati sugli Ets non iscritti nei registri preesistenti. Dall’analisi campionaria su 25mila enti del Terzo settore non iscritti nei registri preesistenti (a cui si sommano alcune imprese sociali di nuova iscrizione) emerge che per questi operatori i problemi finanziari e di reperimento fondi sono fondamentali (li segnala il 45,8% degli intervistati), con l’autofinanziamento che diventa la scelta principale per il 63,6% degli enti del Terzo settore. Anche il reperimento di volontari rappresenta una nota dolente (34,7%, ma diventa 57,1% per gli organizzazioni di volontariato), seguito dalla complessità degli adempimenti burocratici (lo segnala il 34,4% del totale).

Le competenze. Lo studio fa anche il punto sul problema delle competenze, necessarie per assicurare continuità ai progetti. Per molto più della metà degli enti del Terzo settore (58,5%), è fondamentale sviluppare competenze di progettazione, soprattutto per l’accesso ai bandi pubblici e reperimento fondi. Al secondo posto vengono segnalate le competenze per la gestione della comunicazione e dei social media (37,9%). Seguono competenze tecnico-operative (32,4%) e relazionali (27,3%).

In apertura Matteo Nardone / Pacific Press/Sipa USA) Sipa Usa/LaPresse 

Nel testo immagini di Alessio Nisi

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