Uno degli aspetti più delicati della Riforma del Terzo Settore è rappresentato dalle questioni legate alla delicata transizione dal vecchio al nuovo regime giuridico degli enti facenti parte del c.d. Terzo Settore.
Proprio in ragione di questa delicatezza, il legislatore ha previsto una sorta di transizione a marcia ridotta, con tempi piuttosto lunghi ma necessari per preparare al cambiamento vecchi e nuovi enti.
Ciò, tuttavia, ha creato significativi problemi inerenti il regime applicabile durante questa fase transitoria.
È per questa ragione che, in questi mesi, ad essere maggiormente analizzati, sono soprattutto gli aspetti dell’ultima parte del Codice del Terzo Settore che, per la verità, non si distinguono per una particolare “cristallinità espositiva”.
Tra gli interrogativi più frequenti ci sono quelli legati al destino delle Onlus attualmente esistenti, di quelle che vorranno trasformarsi in ETS, di quelle che non lo faranno (estinguendosi), come di quelle che, nel frattempo, vorranno costituirsi ex novo, ancorché per il limitato periodo in cui ciò sarà ancora possibile ed in attesa dell’operatività delle nuove norme, del nuovo Registro ETS (il c,d, Runts), dell’applicabilità delle nuove agevolazioni.
Sugli aspetti di diritto intertemporale, finora, si sono susseguiti almeno due atti di prassi: la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 158/E del 21 dicembre 2017 (in materia di imposta di registro e di bollo sugli atti di una ODV); la lettera direttoriale della Direzione Generale del Terzo Settore e della Responsabilità sociale delle imprese del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, del 29 dicembre 2017.
Da ultimo, si segnalano i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, nell’ambito dell’iniziativa annuale di Telefisco, sulle novità fiscali per il 2018[1]. Ad essi va aggiunto l’intervento di interpretazione autentica dello stesso legislatore, con l’art. 5-sexies del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148.
Tra i vari aspetti toccati da quest’ultima, c’è il problema delle modifiche statutarie che il Codice impone agli enti già esistenti (comprese le Onlus) che intendano divenire ETS (vedi art. 101, comma 2, cts). Modifiche che rischiano di rendere gli statuti Onlus compatibili con il nuovo regime ETS, ma incompatibili con quello vecchio Onlus. Così come alcune vecchie clausole statutarie compatibili con il regime Onlus, potrebbero risultare incompatibili con il nuovo ETS. Si pensi, ad esempio, al principio di democraticità o alla possibilità di svolgere attività commerciali.
L’amministrazione finanziaria ha, perciò, riconosciuto la possibilità di sottoporre vecchie e nuove clausole ad un termine di efficacia, coincidente con quello di operatività delle nuove agevolazioni ETS e di cessazione delle vecchie Onlus. Plausibilmente, tale termine dovrebbe coincidere con l’1 gennaio 2020, tenendo conto dei tempi per l’operatività del Runts e per l’ottenimento dell’autorizzazione della Ue.
Altro punto di estrema delicatezza è quello concernente il regime, nel frattempo, applicabile a quegli enti associativi che, in base alla nuova versione dell’art. 148, comma 3, perderanno l’importante agevolazione della de-commercializzazione dei c.d. corrispettivi specifici (per semplificare, delle entrate derivanti da servizi e beni erogati agli associati). Tra questi, troviamo enti associativi importantissimi, come quelli culturali, di promozione sociale, di formazione extra-scolastica, assistenziali, fondi bilaterali, ecc.
La suddetta agevolazione, nonostante la formale abrogazione, continuerà ad applicarsi (per effetto di una sorta di ultravigenza) fino alla predetta data dell’1 gennaio 2020 che tende, sempre di più, ad essere la vera data spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Anche se non va dimenticato come alcune norme siano già in vigore, come quelle di cui all’art. 104, comma 1 (in materia di il social bonus, alcune imposte indirette e deduzioni/erogazioni per erogazioni liberali).
[1] Su veda anche un mio articolo di commento apparso su ItaliaOggi del 12 febbraio 2018, Cts, nuovo fisco al via dal 2020. Si noti, tuttavia, che i suddetti chiarimenti non possono essere assunti come veri e propri atti di prassi, nonostante l’autorevolezza della fonte da cui promanano.
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