Leggendo il bel libro di Roberto Scarpa su Olivetti (“Il coraggio di un sogno italiano”, Scienza Express edizioni) mi ha colpito questo folgorante appunto di Adriano Olivetti che vi ripropongo: «Non c’è dovere che sottovalutiamo di più del dovere di essere felici. Quando siamo felici, seminiamo anonimi doni nel mondo, che restano sconosciuti anche a noi stessi o, se rivelati, sorprendono il benefattore più di chiunque altro. L’altro giorno un monello cencioso e scalzo correva per la strada dietro a una biglia, e aveva un’aria così allegra da mettere di buon umore chiunque lo vedesse… io approvo chi incoraggia i bambini sorridenti piuttosto che quelli piagnucolosi… È meglio incontrare un uomo o una donna felice piuttosto che una banconota da cinque sterline. Lui o lei, sono fuochi che irradiano benessere; il loro ingresso in una stanza sembra accendere una candela in più, dimostrano nella pratica il grande Teorema della Vivibilità della Vita».
Potremmo anche tradurre così il pensiero di Adriano Olivetti, un uomo e una donna felici dimostrano nella pratica il grande teorema della positività della vita. È una considerazione persino psicologicamente vera: non ci muove e non ci si alza ogni mattina se non per la speranza di un più di positività e di felicità, non ci si mobilita e neppure si riposa se non per guadagnare un pizzico di felicità. Non ci si alza per lamentarsi né ci si mette in moto per lamentarsi o piagnucolare, per far questo basta rimanere a letto o in poltrona. Sant’Ireneo, un grande santo dei primi secoli, aveva riassunto così questa pietra angolare dell’essere al mondo “La Gloria di Dio è l’uomo vivente (Gloria Dei vivens homo)”.
Mi ha colpito quest’appunto di Olivetti perché mi pare che anche dentro il mondo che Vita racconta, quello del Terzo settore, dell’economia civile, della sostenibilità, sia diffusa questa sottovalutazione del “dovere di essere felici”. Chi vuole cambiare il mondo, chi non si accontenta dello status quo, chi esercita un po’ di responsabilità e di solidarietà dovrebbe essere persona in grado di contagiare gli altri con il sorriso e l’entusiasmo, con la positività pratica di chi ama essere in movimento. Di chi non s’aspetta che il futuro sia gentile concessione di altri o qualcosa di finanziabile. No, il motore del nostro futuro non può che essere il nostro desiderio di felicità e perciò di cambiamento.
Solo così il Terzo settore potrà diventare il Primo, non perché lo dice un Presidente del Consiglio, ma perché esso stesso si concepisce come motore della rimessa in moto del Paese, di una sua rinascita. Motore primo, perciò, anche della Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del Servizio civile. C’è troppa passività, a me sembra. Bisognerebbe punteggiare questo 2015 di momenti di convocazione anche simbolici in cui il Terzo settore sappia narrare la sua voglia e capacità di cambiamento. E la sua cifra più vera anche se smarrita, quella della felicità.
Per fare solo qualche esempio di ciò che potrebbe fare un Terzo settore proattivo: un grande evento sul dono, uno sul servizio civile come motore d’ingaggio per le comunità dei giovani e dei propri figli, uno sulla sfida della nuova impresa sociale capace di essere motore di nuova economia.
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