Welfare

Terzo settore, dimmi chi rappresenti

Stefano Zamagni sulla rappresentanza: «Non abbiamo bisogno di tutele né dei politici né dell’impresa for profit». Il padre dell’economia civile si augura «un confronto sereno, ma duro»

di Redazione

  &nbsp È arrivato il momento, per il mondo del terzo settore, di costruire percorsi condivisi e forme di rappresentanza corrispondenti al suo ruolo nello sviluppo della comunità e nelle trasformazioni del welfare: questo è l?invito al dibattito della quinta edizione delle Giornate di Bertinoro per l?economia civile di Aiccon – Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit.   &nbsp Nel presentare il nuovo appuntamento, Stefano Zamagni, presidente della commissione scientifica di Aiccon, afferma l?urgenza di sciogliere il nodo della rappresentanza non solo in considerazione della dimensione e della rilevanza raggiunte dal terzo settore in Italia, ma anche delle nuove prospettive introdotte dalla approvazione della legge +Dai -Versi e di quella sull?impresa sociale, che rendono il tema ancora più rilevante e non rinviabile.   &nbsp Gli abbiamo chiesto di illustrare le ragioni per cui oggi questo tema stia divenendo la questione cruciale, all?ordine del giorno per tutti i protagonisti dell?economia civile. Vita: Come si è arrivati, proprio in questo particolare momento, ad affrontare la questione della rappresentanza della sociatà civile? Stefano Zamagni: Il terzo settore in Italia è nato all?interno della società civile ma sin da subito, quando ancora era in fasce, è stato preso sotto tutela dalla società politica. Questo ne ha consentito lo sviluppo sotto il profilo quantitativo, ed è certamente l?aspetto positivo, ma non gli ha consentito di sviluppare la propria libertà decisionale. Nelle famiglie paternaliste, il figlio accetta i condizionamenti fino ad una certa età, ma poi deve liberarsene e riprendere la propria autonomia: lo stesso deve fare il terzo settore, ma prima deve definire le forme della rappresentanza e i livelli decisionali che lo rappresentino in maniera democratica, per dialogare e negoziare con gli altri settori. Vita: Da quali modelli ed esperienze partire? Zamagni: Davanti a me vedo un parallelismo: se guardiamo al movimento sindacale, per molti decenni questo ha avuto la natura di associazione, poi si è capito che doveva sciogliere il nodo della rappresentanza. Il sindacato lo ha fatto in una forma particolare che gli consente oggi di essere chiamato e interpellato come soggetto rappresentativo. Ma non dobbiamo aggiustare modelli precostituiti, non si possono replicare le forme né della politica né del sindacato. In questo momento non ci sono tesi precostituite ed è più facile dire quello che non deve essere fatto. Anche all?estero non abbiamo un modello. Se in Italia il terzo settore è stato tenuto sotto tutela dalla società politica, negli Usa lo è stato dalla società mercantile. Non è che altrove le cose vadano meglio, nel loro caso vanno male perché il terzo settore è ostaggio delle imprese for profit. Vita: Quali possibilità immagina per far emergere una proposta condivisa? Zamagni: Si tratta effettivamente di compiere un atto di umiltà per trovare, partendo da un confronto sereno ma duro, una via di uscita da un problema di cui dobbiamo capire in primo luogo la natura, l?urgenza e quello che non va fatto. Si dovrà creare una forma di ?concordia discors?, un formula che non deve suonare come un ossimoro, ma che significa che ci saranno opinioni diverse con un punto in comune che è la necessità di inventare forme istituzionali nuove. L?obiettivo iniziale, di conseguenza, non è tanto decidere il modello definitivo, per questo ci vorrà più tempo, ma fin da ora è necessario avviare un cammino e partire col piede giusto. Per uscire dall?impasse bisogna immaginare una nuova prospettiva, che poi è quella dell?economia civile. di Maddalena Bonicelli


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