Non profit

Terzo settore avanzato: il non profit alla sfida della modernità

«Restare “locali” in un mondo globale è una condizione di inferiorità e causa di nuove sofferenze: quelle di chi, essendo costretto a vivere in un luogo, si avvede che oggi i luoghi del locale stanno perdendo la loro capacità di generare senso e di attribuire significati all’esistenza»: è un nodo centrale dei nostri giorni. Il Terzo settore avanzato, il welfare circolare, le reti solidali hanno un ruolo speciale nel processo di dare nuove risposte. L'intervento dell'economista dell'università di Siena

di Maria Vella

Negli ultimi anni è costantemente cresciuta l’attenzione per il tema dell’economia sociale. È vero che nel dibattito pubblico europeo l’espressione “economia sociale” tende a ricomprendere una molteplicità di forme di impresa, diversamente definite a seconda delle esperienze nazionali, tuttavia questo interesse, che si manifesta tanto a livello comunitario quanto dei singoli Paesi, è il segnale di un clima sociale e politico sul quale hanno lasciato una traccia profonda l’ultima crisi finanziaria statunitense e l’onda lunga delle recessioni che ne sono seguite.

Oggi l'economia sociale in Europa è un movimento dinamico, diversificato ed imprenditoriale che è stato riconosciuto come un nuovo modello gestionale che unisce l'attività economica con quella sociale, attraverso la promozione della crescita inclusiva. Ma mentre vi è un crescente interesse ed una certa convergenza sulle caratteristiche che la definiscono, rimangono ancora evidenti disparità sostanziali legate ai diversi sistemi giuridici, istituzionali e politici di ciascun Paese. Queste differenze, insieme alla mancanza di un approccio sistematico al tipo e alla portata delle attività e dei relativi quadri politici, rende il comparto estremamente difficile da identificare in modelli comuni di sviluppo in tutta Europa. È certo però che l’impresa sociale europea e le organizzazioni del Terzo settore in Italia, che rappresentano il Terzo settore avanzato, registrano andamenti economici tendenzialmente crescenti in tutto il territorio comunitario e che l'attività continuerà ad espandersi, compresa la prosecuzione dell'emergere di forme innovative di impresa sociale.

Che cosa intendiamo con il termine “Terzo settore avanzato”? Sicuramente l’equilibrio tra gli ambiti storicamente presidiati (sanità, cura, istruzione, accoglienza ecc.) con le sfide della modernità, cioè le conseguenze della globalizzazione che, inevitabilmente, conducono al concetto di glocalismo, cioè alla necessità di adeguarsi al futuro pur mantenendo i valori e le tradizioni della comunità e del territorio.

Il termine glocalizzazione (formulato nel 1980 in lingua giapponese, dochakuka e successivamente tradotto in inglese dal sociologo R. Robertson), adottato dal sociologo Zygmunt Bauman, nasce dalla necessità di adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, patendo dal presupposto che il fondamento della società in ogni epoca è stata ed è la comunità locale e le sue organizzazioni più complesse (ad esempio, la famiglia che è un sottosistema del quartiere così come, a sua volta, il quartiere è un sottosistema della città e così via). La glocalizzazione quindi pone al centro della sua “filosofia”, l’individuo, la persona umana, il patrimonio locale sociale e territoriale dell’individuo e del suo gruppo di appartenenza, dando importanza alla comunicazione tra gli individui ed alle nuove tecnologie che favoriscono i processi di trasformazione. In altri termini la glocalizzazione, pur ponendo idealmente il micro gruppo alla base della sua analisi, quindi l’individuo che lo costituisce, parte dal presupposto che esso cresce, si sviluppa, comunica ed interagisce con altri gruppi sempre più complessi, fino ad arrivare ai mercati globalizzati.
Nella realtà, però, accade che alcuni gruppi sociali riescono a diventare globali mentre altri sono inchiodati alla propria località e tuttavia sono proprio i “globali” a fissare le regole del gioco della vita, quelle regole, quasi sempre non scritte, che i “locali” sono tenuti a subire. Restare “locali” in un mondo globale è quindi una condizione di inferiorità e, al tempo stesso, causa nuove sofferenze: quella di chi, essendo costretto a vivere in un luogo, si avvede che oggi i luoghi del locale stanno perdendo la loro capacità di generare senso e di attribuire significati all’esistenza. La conferma proviene dall’aumento endemico e crescente delle disuguaglianze nelle nostre società, dall’incapacità dei tradizionali sistemi e mercati di dare risposte alla quota crescente dei bisogni (vecchi e nuovi) generati dalla congiuntura negativa, che ha ampliato il potenziale di azione dei soggetti del Terzo settore che, in molti casi, si sono fatti carico di responsabilità crescenti.

Certamente il Terzo settore avanzato, l’innovazione sociale nel Terzo settore e il welfare circolare, che significano condivisione, democrazia e solidarietà rappresentano una vera rivoluzione in campo legislativo, economico, finanziario, sociale e soprattutto culturale per il nostro Paese come anche per le altre economie con cui siamo direttamente interconnessi. E, come tutte le rivoluzioni, sta provocando un netto stravolgimento degli equilibri economici e comportamentali iniziali, anche perché ha origine dal fallimento delle precedenti regole del capitalismo e dall’aver applicato ad un sistema politico democratico regole di mercato che hanno generato egoismo, disuguaglianza ed ingiustizia sociale. Come in tutte le rivoluzioni, siamo i protagonisti di nuovi scenari, che stanno suggerendo evoluzioni radicali sia negli atteggiamenti che nelle procedure, da un punto di vista strutturale e sostanziale, rendendo equivoca ed a volte discordante la posizione degli organi centrali e locali del nostro sistema politico e del sistema informativo direzionale.

Senza ombra di dubbio, il Terzo settore italiano è oggi chiamato ad affrontare queste sfide ed il campo di applicazione delle tecnologie innovative (di prodotto, di processo e culturali), con una posizione di co-protagonista della rivoluzione in atto, considerando anche che l’ampliamento delle competenze del Terzo settore hanno coinciso con la riduzione dell’intervento pubblico nel risolvere i problemi economico-sociali della società e si sono prodigate per creare reti innovative ed un nuovo rapporto pubblico-privato-sociale, per colmare gli effetti negativi sull’intera collettività e sull’occupazione. Se vogliamo confermare il nostro sistema democratico, capace di alimentare il senso di comunità, attribuendo pari dignità a tutti gli individui ed eque libertà, il Terzo settore deve sicuramente essere alla base di questo processo, che potrebbe essere frenato se non si riscopriranno questi valori: stiamo facendo riferimento al delicato e fragile nesso tra etica ed innovazione e progresso.

Da dove cominciare allora per impostare su nuove basi un discorso, filosoficamente fondato, sulla giustizia?

Sicuramente da una politica democratica che possa lasciare ai cittadini la libertà di esprimere concretamente il diritto-dovere di occuparsi del proprio Paese e del futuro, con un ampio processo di conciliazione fra interessi, bisogni, corpi intermedi, flusso di identità ed organizzazione. Perché, come scrive la diplomatica statunitense presso la Santa Sede in Italia, Mary Ann Glendon, nel volume Tradizioni in subbuglio: «gli Stati democratici e il libero mercato dovrebbero sentire il bisogno di astenersi dall’imporre i loro propri valori indiscriminatamente a tutte le istituzioni della società civile. Essi potrebbero persino aver bisogno, per il loro stesso bene, di aiutare attivamente i gruppi e le strutture la cui principale fedeltà non è nei confronti dello Stato e i cui valori più alti non sono l’efficienza, la produttività o l’individualismo».

Tra Stato e privato, fra mercato e pubblico si collocano infatti i corpi intermedi, in ogni loro configurazione giuridica e, tra questi, con ruolo speciale, le reti solidali. Dobbiamo perciò ricominciare a riflettere sull’importanza della stessa qualità del nostro vivere civile e sulla resilienza delle realtà del Terzo settore, che costituiscono elementi cardine ed essenziali della nostra realtà sociale così come evidenziato dalla nostra Costituzione. Gli attuali ritardi della politica sembrano rinnegare queste verità e la questione è tutt'altro che risolta. Anzi, inizia proprio da qui.

*Maria Vella è docente in Economia e gestione del Terzo settore all’Università di Siena, ideatrice e direttore scientifico di LET’S GO UNISI.IT

Photo by Clint Adair on Unsplash

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.