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Terremoto, perché in Siria è difficile far arrivare gli aiuti umanitari
Oltre 11.200 vittime e più di 37mila feriti tra il Sud della Turchia e il Nord della Siria. È stato il terremoto più devastante degli ultimi 24 anni nella regione. In Siria però siamo davanti a un’emergenza nell’emergenza e qui gli aiuti arrivano con più difficoltà e o non arrivano. «Parliamo di una Paese con 22 milioni di abitanti dove 15 milioni di persone avevano già bisogno di assistenza umanitaria prima del terremoto», spiega Mattia Levighi, coordinatore dei progetti dell'organizzazione umanitaria Intersos nel Paese
di Anna Spena
Oltre 11.200 vittime e più di 37mila feriti tra il Sud della Turchia e il Nord della Siria. L’organizzazione umanitaria Intersos ha attivato squadre di emergenza in Siria dove morti, feriti e danni sono stati registrati soprattutto ad Aleppo, Hama, Idlib, Lattakia e Tartous. «Abbiamo attivato una clinica mobile con un medico, un’infermiera e un addetto alla registrazione dei dati nella parte meridionale del Governatorato di Idlib, con l’obiettivo di raggiungere anche le aree rurali, mentre tre unità mediche composte da un medico, un infermiere o una ostetrica e un addetto alla registrazione dei dati, sono impegnati nelle strutture mediche nel governatorato di Hama», spiega Mattia Levighi, coordinatore dei progetti di Intersos nel Paese. «In particolare», continua, «stiamo supportando l’Hama National Hospital, dove arrivano moltissimi feriti e casi gravi e mancano medicinali e materiali medici» (Qui il link per donare e supportare il lavoro dell'ong).
Nel Governatorato di Idlib l’organizzazione ha raggiunto Hamdaniyeh e la città di Sinjar, dove la popolazione è stremata da dodici anni di conflitto, dalla mancanza di servizi di base e la diffusione di malattie trasmissibili come il colera. La maggior parte degli edifici, già danneggiati dai combattimenti, è venuta giù per via delle forti scosse e migliaia di persone non hanno dove andare. «Stiamo registrando anche un diffuso bisogno di assistenza alimentare e di beni essenziali come indumenti invernali e materiali per ripararsi dal freddo», spiega Levighi, «ma la disponibilità dei beni di prima necessità in alcune zone è molto limitata. E importare farmaci, di cui si ha necessario bisogno, da altri Paesi è complicatissimo. Questi problemi sono strutturali del Paese, e in queste zone in particolare la mancanza cronica di servizi di base e la lontananza dei principali ospedali, rende la situazione ancora più drammatica».
Sarebbero 300mila le persone sfollate nelle aree controllate dal governo. Sul fronte siriano infatti, come racconta bene Asmae Dachan in questo articolo – Terremoto, qui Siria: Dopo 12 anni di guerra, una catastrofe consumata in un minuto – "il sisma ha colpito sia la fascia costiera e la città di Aleppo, controllate dal regime di Bashar al Assad, sia la città di Idlib e i suoi sobborghi, ultimo fazzoletto di terra sotto il controllo delle opposizioni e attraversato da gruppi di miliziani appartenenti anche a sigle qaediste. In quest’ultima zona non hanno diritto di accesso le grandi organizzazioni umanitarie internazionali e i soccorsi arrivano solo dal fronte turco. Una portavoce dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell'assistenza umanitaria (OCHA), Madivi Sona, ha però dichiarato a Reuters che il flusso di aiuti vitali delle Nazioni Unite dalla Turchia alla Siria nordoccidentale si è temporaneamente interrotto a causa di danni alle strade e ad altre questioni logistiche legate terremoto".
«Fare arrivare gli aiuti in questo momento», dice il responsabile Paese di Intersos, «è difficile anche causa delle condizioni climatiche avverse e delle strade distrutte. Ma soprattutto le zone controllate dai ribelli, per questioni burocratiche e amministrative, sono off limits per le ong, lì non possiamo lavorare e non sappiamo quale sia la condizione reale. Già prima del terremoto, in Siria, quasi tutta la popolazione dipendeva dagli aiuti umanitari per far fronte ai bisogni primari. Con la catastrofe improvvisa del terremoto, si aggravano le condizioni di milioni di persone che vivevano nei campi, in ripari di fortuna e in edifici inagibili, senza accesso ai servizi di base come l’acqua, la salute e l’elettricità».
«Questo disastro», continua, «si somma a tutta una serie di fragilità che esistevano già. Parliamo di una Paese con 22 milioni di abitanti dove 15 milioni di persone avevano già bisogno di assistenza umanitaria prima del terremoto. Qui il 77% della popolazione ha un reddito che non è sufficiente per coprire i beni primari. È fondamentale che la comunità internazionale sblocchi i fondi necessari per supportare la popolazione, ma lo scorso anno il Paese ha ricevuto solo il 40% degli aiuti necessari a rispondere ai bisogni».
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