Sud Est asiatico

Myanmar: dopo il terremoto, le bombe

La guerra civile non si è fermata neppure di fronte alla catastrofe naturale che ha colpito il Paese. I bombardamenti, infatti, sono continuati sia il 28 che il 29 marzo, coinvolgendo le zone più interessate dal sisma. Attacchi che l’Onu ha subito definito «scandalosi» e «inaccettabili»

di Francesco Crippa

Sono almeno 2.056 le vittime del terremoto di magnitudo 7.7 che il 28 marzo ha colpito il Myanmar. Di feriti, invece, se ne contano oltre 3.900. È questo il bilancio provvisorio ufficiale diffuso il 31 marzo dalla giunta militare al potere nello Stato del sudest asiatico. Si tratta di dati in continuo aggiornamento: secondo una proiezione del servizio geologico degli Stati Unitisi potrebbero arrivare a contare fino a più di diecimila morti. Nella vicina Thailandia, anch’essa colpita dal sisma, le vittime sono almeno 19, più di 70 i feriti.

«Stiamo assistendo a un livello di devastazione che in Asia non si vedeva da oltre un secolo», ha scritto in un tweet la Federazione internazionale della Croce e della Mezzaluna Rossa. Un disastro che si sovrappone a una crisi umanitaria già gravissima causata dalla guerra civile che imperversa da quattro anni. Nel 2021, infatti, il Tatmadaw, l’esercito, ha preso il potere tramite un colpo di Stato, dando inizio a una guerra civile che non si è fermata neppure di fronte alla catastrofe naturale che ha colpito il Paese. I bombardamenti, infatti, sono continuati sia il 28 che il 29 marzo, colpendo soprattutto le zone già maggiormente interessate dal terremoto, che sono in larga parte controllate dal Ta’ang, l’Esercito di liberazione nazionale, il braccio armato delle forze democratiche esautorate dal golpe. Attacchi che l’Onu ha subito definito «scandalosi» e «inaccettabili».

Prima del sisma, secondo le Nazioni Unite le persone bisognose di aiuti umanitari erano 19,9 milioni, compresi 3,5 milioni di sfollati, su un totale di 57 milioni di abitanti. Un’emergenza complicata dal mancato afflusso di risorse necessarie a fronteggiarla: sempre secondo i dati Onu, nel 2024 su 993,5 milioni di dollari necessari ne sono stati reperiti soltanto 393,7, appena il 39,6 per cento. A queste necessità vanno ora ad aggiungersi quelle legate alla ricostruzione, a partire da quelle per far fronte all’emergenza sanitaria.

Come riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità – Oms, tre ospedali sono stati distrutti dal terremoto e altri 22 danneggiati, con conseguente difficoltà nel prestare soccorso ai feriti. «C’è un bisogno urgente di cure chirurgiche e per traumi, forniture per trasfusioni di sangue, anestetici, medicinali essenziali e supporto per la salute mentale», si legge in una nota. L’Oms ha stimato in otto miliardi di dollari i finanziamenti immediati che servono per coprire queste esigenze.

Anche i crematori di Mandalay, seconda città più popolosa del Paese e a 16 chilometri dall’epicentro del terremoto, sembrano estremamente sotto pressione. Come riporta Myanmar Now, nonostante le strutture stiano operando a pieno regime le pile di corpi al loro esterno sarebbero così grandi che le persone avrebbero iniziato a bruciare i loro cari per strada, autonomamente.

Tra macerie e bombe il soccorso umanitario è difficile

In tutto questo, l’intervento umanitario è difficoltoso. Le strade sono bloccate, le telecomunicazioni interrotte e due tra i principali aeroporti del Paese, Naypyidaw e Mandalay, sono stati chiusi. A questo bisogna aggiungere il ruolo della giunta militare. Le zone colpite dal terremoto, infatti, sono per lo più in mano ai ribelli, il che già di per sé rende difficili le comunicazioni verso l’esterno.

In secondo luogo, i bombardamenti del 28 e del 29 marzo non hanno aiutato un pronto intervento. Ieri, 30 marzo, i ribelli hanno annunciato una tregua di due settimane per permettere i soccorsi, ma dubbi permangono riguardo alle reali intenzioni di accettarla da parte della giunta, che per il momento ha solo indetto una settimana di lutto nazionale. «La giunta dovrebbe seguire il Governo di unità nazionale [il Governo spodestato dal golpe del 2021, ndr] nel dichiarare un cessate il fuoco immediato», ha scritto ieri su X Tom Andrews, relatore speciale delle Nazioni Unite per il rispetto dei diritti umani in Myanmar. «La leva militare dovrebbe essere sospesa, gli operatori umanitari non dovrebbero temere l’arresto e non dovrebbero esserci ostacoli all’arrivo degli aiuti dove sono più necessari. Ogni minuto conta».

A testimonianza dalla difficoltà di portare aiuti nelle zone colpite, ancora ieri sera l’Associated Press scriveva che a Mandalay, la ricerca dei sopravvissuti continuava ad avvenire per mano degli abitanti del posto e senza l’aiuto di mezzi pesanti se non qualche escavatrice cingolata.

Chi sono i principali donatori

A tre giorni dal sisma, oltre ai 15 milioni di dollari stanziati dalle agenzie dell’Onu (e relativi partner), il supporto maggiore è arrivato dalla Cina. Pechino, ha comunicato l’agenzia di Stato Xinhua, ha inviato al Myanmar un pacchetto da 19,3 milioni di dollari comprendente tende, coperte e kit di pronto soccorso. Tra i principali donatori figura anche l’India, che secondo Reuters ha inviato almeno cinque aerei e quattro navi con materiale di soccorso, una squadra di ricerca speciale e un’unità medica militare speciale. Gli Stati Uniti hanno promesso due milioni di dollari di aiuti umanitari, così come la Corea del Sud. Altri aiuti, divisi tra finanziamenti, materiale, squadre di ricerca e personale medico sono arrivati da Vietnam, Giappone, Singapore, Tailandia, Indonesia e Russia.

Credit foto AP Photo/Aung Shine Oo/Associated Press/LaPresse

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