Sostenibilità

Terra: un passo indietro per ripararne i danni

L'editoriale di Giuseppe Frangi sullo stato della Terra alla vigilia del summit di Johannesburg.

di Giuseppe Frangi

Solo un cinismo da vagabondi ci può lasciare indifferenti al destino di questo bellissimo, prezioso, inimitabile pianeta sul quale viviamo. Fra poco inizierà l?attesissimo Summit sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, dieci anni dopo quell?altro summit di Rio che rappresentò, almeno a livello di parole e di coscienza collettiva, una svolta storica. Si tornerà a parlare di questa Terra, così potente ma così fragile; così vitale ma così a rischio; così generosa ma così violata. Questa Terra da cui dipende il nostro presente e ancor di più, naturalmente, il nostro futuro. Come sta questa cara Terra? Certamente ascolteremo diagnosi opposte. Da una parte l?ottimismo di chi, per propaganda, vorrebbe assicurarci che la Terra non è mai stata così in forma. Dall?altra, il pessimismo apocalittico che aspetta solo di mettere una data certa alla fine del pianeta.
Non credete agli uni, né agli altri. Il loro ragionamento (soprattutto quello dei secondi) può infatti contenere elementi di verità.
Ma il loro estremismo scantona dall?unica vera questione: che il destino della Terra dipende da noi. Il loro estremismo induce, per ragioni opposte, a quel cinismo da vagabondi, di cui ha parlato, con rara efficacia, uno dei più autorevoli personaggi della Chiesa di oggi.
Invece, la salute della Terra dipende dall?amore che noi singolarmente, nella nostra quotidianità, le sappiamo portare. E amore vuol dire rispetto, attenzione, sobrietà. Vuol dire senso della misura, far tesoro dei doni che ci fa. La Terra ci chiede di fare un passo indietro, che deve essere collettivo, cioè di tanti, ma in quanto maturato nella coscienza di ciascuno. La Terra ci chiede di non considerarla inesauribile, come, con tanta intelligenza e amore, ci continua a ripetere dalla sua cella Adriano Sofri. Ha scritto Sofri in un articolo di un paio di anni fa, ora raccolto nel bellissimo libro (Altri Hotel, leggetelo: è paradossale che l?amore alla Terra ci venga insegnato da uno cui le bellezze della Terra sono in buona parte precluse): «Se il mondo non è inesauribile, e conquistabile all?infinito, la baldanza deve cedere a una morale più dimessa e premurosa: non da servi, semplicemente da riparatori di danni».
Dobbiamo vestire i panni dei riparatori contro quello che una cultura famelica e vagamente suicida ci ha imposto sin qui di essere: dei rottamatori. Riparare, rispetto a rottamare, ci spiega Sofri, è un?operazione altamente morale. Anzi è manuale e morale. «Questo doppio senso. Morale e manuale fa la riparazione meno equivoca e più fattiva delle parole che l?inflazione ha deprezzato, il pentimento e il perdono».
Contro questa prospettiva c?è quella descritta con freddezza ed efficacia da un altro osservatore libero e sorprendente, Luigi Sertorio: «Crescete e rottamate», ha titolato un capitolo del suo bellissimo libro dedicato alla Storia dell?abbondanza. Il modello dominante, spiega Sertorio, induce gli uomini a una produzione continua di scorie. «La scoria si deposita nell?ambiente e lì resta per sempre. Per capire se un prodotto finale possa entrare in ciclo o no, osservatelo a lungo e cercate di vedere se a un certo momento emette foglioline e radice oppure no».
Saremo dunque riparatori o infinitamente rottamatori? Certamente le scelte dei grandi influiscono e determinano le scelte di tutti: sarebbe ingenuo non pensarlo. Eppure se una coscienza diversa inizia a farsi strada, se uno sguardo più mite inizia a caratterizzare il nostro rapporto con la Terra, noi inizieremo a vivere meglio, a veder vivere meglio chi sta intorno a noi. E a poter immaginare, senza vergogna, il futuro di chi verrà dopo di noi.

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