Formazione

TEMPO

Franco Cassano: «Siamo una civiltà che costruisce terapie preventive. Abbiamo paura a guardare avanti. La finitezza ci spaventa»

di Francesco Maggio

Parliamo di tempo. Prendiamo per esempio i Rolling Stones: quarant?anni fa cantavano Time is on my side, il tempo è dalla mia parte. Una sorta di manifesto di una consapevolezza diffusa, anzi, di una convinzione assoluta di un?intera generazione, che il tempo fosse sempre e comunque amico. Dalla propria parte, appunto. Che il tempo, banalizzando un po?, fosse e sarà sempre galantuomo. Ma è davvero così? «Il vero problema, quello intorno al quale si gira in continuazione», scrive Giovanni Bruno Vicario nel prologo al suo suggestivo e impegnativo libro Il tempo (Il Mulino), «non è il tempo, ma il mutamento, se esso esista in natura o se sia il prodotto dell?atto di osservare». «Siamo ai piedi di una montagna», aggiunge, «di cui non riusciamo a scorgere la vetta e possiamo soltanto metterci in cammino, sperando di scegliere i sentieri giusti per scalarla». Un cammino impervio, quindi. Ma da intraprendere. Necessariamente. Franco Cassano, docente di Sociologia della conoscenza all?università di Bari, al ?tempo? ha dedicato molto tempo, riflessioni, energie. Significativo, in proposito, il sottotitolo di uno dei suoi ultimi volumi, Modernizzare stanca (Il Mulino): «Perdere tempo, guadagnare tempo». O l?ultimo capitolo del suo ultimo libro Homo civicus (edizioni Dedalo): «La nottata siamo noi». Insieme a lui abbiamo deciso di percorrere un tratto del suddetto percorso in questa intervista che, inevitabilmente a questo punto, non può che cominciare rievocando le ?pietre rotolanti?. Vita: Professore, avrebbe senso intitolare oggi una canzone Time is on my side? Franco Cassano: Pensare di avere il tempo dalla propria parte è una concezione ottimistica del tempo, una concezione nella quale è dominante l?idea del progresso. Chi dice che il tempo è dalla sua parte annuncia che i tempi stanno cambiando in meglio. è un?idea, peraltro, nemmeno straordinariamente nuova perché le grandi idee di ?salvezza? sono non di rado proposte al mondo attraverso testimoni ?privilegiati? che dicono che in un particolare momento finalmente diventa possibile realizzare il sogno di più generazioni. Vita: Che vuol dire oggi, secondo lei, l?espressione «non ho tempo», perché la si pronuncia? Cassano: Perché la legge fondamentale che governa la nostra vita è quella dell?accelerazione crescente. Per cui tutti pensiamo che il progresso coincida con la velocizzazione del mondo e che si possano riuscire a fare nell?unità di tempo prescelta sempre più cose, che la giornata si debba continuamente riempire. Vita: Bisognerebbe ripristinare l?antico motto «festina lente», affrettati lentamente?. Cassano: Già. Ci sono attività che solo grazie a un rallentamento diventano visibili. Gran parte di quella che è l?esperienza dell?amore ha bisogno di non superare una certa velocità. L?amore oltre una certa velocità diventa mercenario e non tiene assolutamente conto dell?altro. Anche l?educazione è così, come la politica. L?uomo contemporaneo assomiglia a chi quando guarda il cielo rimane colpito solo dall?inquinamento luminoso o dalle nuvole. Non è capace di andare oltre il corto raggio, ma guardare più lontano significa guardarsi meglio. Vita: Per cosa il tempo è scaduto? E per cosa ci vuole ancora tempo? Cassano: Ciò che non ha apparentemente più senso può essere il non emozionarsi per grandi ideologie. Però, paradossalmente, in taluni casi noi siamo anche orfani di quello che abbiamo perduto. Un mondo nel quale non c?è più un certo tipo di spinta è anche un mondo che, per evitare i danni che quella spinta ha prodotto, finisce per costruire sempre più terapie preventive, una sorta di avarizia sentimentale a causa della quale si finisce per chiudersi in se stessi. Abbiamo capito molto riguardo al tempo che ci lasciamo alle spalle ma rispetto al tempo che abbiamo davanti c?è ancora moltissimo da capire. Il nostro senso comune guarda più indietro di quanto non riesca a guardare avanti. Tra la nostra prassi quotidiana e quello che è necessario pensare per stare in questo tempo nuovo, rimane ancora uno scarto terribile. Vita: Per dirla con il titolo di un libro di Giovanni Sartori, questi che viviamo sono «mala tempora»? Cassano: No, credo piuttosto che i tempi nei quali viviamo siano particolarmente difficili. L?Europa occidentale ha avuto quasi mezzo secolo di pace e sviluppo, e da questo punto di vista il nostro passato recente ha caratteristiche che dobbiamo ricordare. Non credo che serva granché guardare ai pericoli che ci sono. Oggi ci rendiamo ancora di più conto che la risposta che si deve dare alla guerra deve essere più radicale, più categorica, con meno distinguo di quanti non ne siano stati fatti in passato. Non dimentichiamo che i due grandi leader del secolo scorso che entrano con la schiena dritta nel nuovo sono Gandhi e Mandela, non a caso due non europei, ma il risultato di una miscela della cultura dei loro Paesi d?origine con la cultura occidentale. Il tempo non si può misurare esclusivamente sulla base del proprio tragitto. Vita: Noi, diversamente da altre civiltà, consideriamo il tempo come un nemico. Perché una tale differenza? Cassano: Più abbiamo desiderio di sfruttarlo, più il tempo ci sembra scarso. Una volta un mio amico africano mi diceva che gli europei sono così ricchi e al contempo così presi dal desiderio di arricchirsi ulteriormente che sembrano poveri. La scarsità di tempo è di tipo culturale, dipende dal desiderio di ottimizzarlo. è un po? come l?eccesso di igienismo che ci rende paranoica l?esistenza. Siamo dominati dall?idea dell?allungamento della vita. In altre culture non esiste questo affanno del tempo semplicemente perché non lo si vuole ottimizzare. Quando penso ai deserti io non penso che essi siano il ?non ancora dell?acqua?, il non ancora dello sviluppo, che siano come una specie di imperfezione che sarà cancellata dall?arrivo dell?acqua. Credo, al contrario, che vadano visti come un?altra dimensione dell?esperienza. D?altronde la nostra cultura nasce dai deserti. C?è stato, per esempio, un signore che vi ha vissuto per quaranta giorni e un altro che ha affrancato un popolo dalla schiavitù d?Egitto dirigendosi verso il deserto. L?errore che non dobbiamo commettere è quello di pensare che chi non è come noi è in uno stadio di arretratezza. Si possono pensare forme di vita diverse senza avvertire quello che io chiamo il ?disagio del disertore?. Vita: In occasione dei recenti referendum si è parlato molto di crioconservazione: che cos?è, la volontà di annullare il tempo? Cassano: Abbiamo pensato alla tecnologia come a qualcosa che migliora le condizioni dell?uomo. Adesso assistiamo a dinamiche della ricerca scientifica in cui essa retroagisce sull?uomo con tutti gli enormi problemi che ciò comporta. Bisogna recuperare il senso della misura smarrito dietro una vertigine di accrescimento di una potenza che sembra essere incontentabile, incapace di trovare un freno. Una volta l?uomo si rivolgeva ai grandi racconti religiosi. Nel momento in cui i grandi racconti sono meno condivisi, la scienza e la tecnologia sono diventati strumenti attraverso i quali si cerca di spostare la propria finitezza sempre più in avanti. Ci aggrappiamo all?idea che la tecnica possa aiutarci a sconfiggere tale finitezza. Vita: Anche perché il tempo è denaro?. Cassano: La tecnologia è uno strumento per produrre profitto. Per noi oggi è diventato inconcepibile che ci possano essere beni che trascendano il nostro utile individuale. Ma una nozione di ricchezza fondata solo sull?accrescimento del benessere individuale è alla lunga insostenibile. Ed è inquietante che le uniche istituzioni diventate punti di riferimento siano il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Vita: Come si riconcilia il proprio legame con il tempo? Cassano: Ci sono tanti modi. Credo che l?esperienza religiosa sia una dimensione nella quale il tempo che noi consumiamo immediatamente non è esclusivamente quello che ci deve interessare. Anche l?esperienza del volontariato spinge in questa direzione. Vita: A chi più sfugge questa concezione di tempo? Cassano: Sicuramente a gran parte di quel top management che controlla tutto, che magari ha anche la possibilità di godersi su una barca porzioni del proprio tempo ma che si guadagna questa possibilità con strumenti di potere che costringono una moltitudine di persone ad annullare il proprio tempo. Vita: è possibile individuare l?inizio di questa spirale? Cassano: L?inizio c?è e nasce con la modernità, parola che deriva da modo, cioè ?adesso?. Ed è questa sottolineatura ad esaltare le virtù dell?innovazione. Ciò che mi preoccupa di quello che è successo negli ultimi decenni è che ?contrappesi? a questo aspetto vengono gettati via come se fossero tutte vecchie rendite. Per esempio, si è passati dall?idea che dovesse esserci un equilibrio tra Stato e mercato, tra libertà e uguaglianza, all?idea di pensare che il welfare state sia un insieme di dimensioni parassitarie di cui un?economia innovativa dovrebbe liberarsi. Questa è un?idea di modernità che amputa se stessa, anche perché nella nostra tradizione non esiste soltanto la dimensione della libertà individuale ma anche la dimensione dell?uguaglianza, del legame sociale, della relazionalità. Vita: Che idea di futuro del tempo immagina? Cassano: Io credo che bisognerebbe sottrarsi dalla coazione all?innovazione che poi risucchia la stessa idea dell?esperienza. L?idea di mobilità deve saper convivere anche con l?idea della permanenza. Vita: Sant?Agostino diceva: «Voi pensate che i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi». Condivide? Cassano: Assolutamente sì. Come Sant?Agostino la pensano tutti quelli che vogliono cambiare il mondo dimostrando che è possibile farlo attraverso quello che si sa fare subito, in quel momento. Molte delle persone che si definiscono ragionevoli sono solo persone ciniche. D?altronde basta pensare alla maestosità dell?impero romano e poi al fatto che c?è stato, in una collocazione periferica, un falegname palestinese che improvvisamente è ?impazzito? e ha cominciato a dire una cosa che non stava né in cielo né in terra e cioè che era figlio di Dio. Era un uomo marginale. Ma noi oggi contiamo il tempo da quando è nato quel falegname palestinese.


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