Economia

Tempi Difficili per la valutazione d’impatto

«"Ora, quello che voglio sono Fatti. Insegnate a questi ragazze e queste ragazze Fatti e niente altro. Solo di Fatti abbiamo bisogno nella vita", diceva Charles Dickens nel suo Tempi difficili. Secondo me però l’idea che la valutazione possa essere riportata a “fatti e numeri” è, a mio avviso, profondamente sbagliata». L'intervento del direttore di Human Foundation

di Federico Mento

“Ora, quello che voglio sono Fatti. Insegnate a questi ragazze e queste ragazze Fatti e niente altro. Solo di Fatti abbiamo bisogno nella vita. Non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo coi Fatti si può plasmare la mente degli animali che ragionano: il resto non servirà mai loro assolutamente nulla. Questo è il principio su cui ho allevato i miei figli, e questo è il principio su cui ho allevato questi fanciulli. Tenetevi ai Fatti, signore!” Con queste parole si apre “Tempi difficili”, uno dei romanzi “sociali” più noti di Charles Dickens. L’opera di Dickens possiede, a mia avviso, una straordinaria capacità: afferrare e restituire al lettore lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi. Nelle pagine dickensiane, l’analisi di Engels sulla situazione della classe operaia inglese prende vita, il rigore teorico lascia spazio ad una sguardo che, senza perdere il piacere della narrativa, proietta una sorta di compendio sociologico sulle profonde disuguaglianze della società industriale ottocentesca.

Per tornare a Tempi difficili, Dickens muove una feroce critica all’utilitarismo, all’epoca particolarmente diffuso tra le classi dirigenti britanniche. Dickens disapprovava la visione profondamente egoistica degli utilitaristi. Thomas Gradgrind, il personaggio che apre il romanzo, incarna a pieno il punto di vista utilitaristico: “un uomo di fatti e calcoli….un regolo, una bilancia e la tavola delle moltiplicazioni sempre in tasca”. Non c’è stato per l’immaginazione, secondo Gradgrind, né a scuola, ove esercita sui suoi studenti un controllo ferreo, né nella vita familiare, “nessuno dei piccoli Gradgrind aveva mai visto un viso nella luna, pur conoscendo tutto sulla luna prima ancora di sapersi esprimere correttamente”.

Gradgrind è un uomo dotato di una cultura enciclopedica, ciononostante risulta profondamente chiuso, quasi incapace di comunicare. Eppure, questa sua chiusura “nei fatti e nei calcoli” non riesce ad imprigionare la forza vitale di sua figlia Louisa, tanto da abbandonare, al termine del romanzo, la fede incrollabile nell’utilitarismo.

Gradgrind, per certi versi, rappresenta una certa tensione, in seno al mondo della valutazione, che possiede una sconfinata fiducia “nei fatti e nei numeri”, quasi fosse in grado di arrivare “a pesare e a misurare ogni pacco di natura umana e a dirvi esattamente che cosa contiene”. Eppure valutare non è affatto un’operazione aritmetica, come certamente andrebbe a sostenere Gradgrind. La valutazione, al contrario, è un processo soggettivo, anzi pluri-soggettivo. Uno spazio dove interpretazioni, visioni del mondo, esperienze singole o collettive, tentano, attraverso l’esercizio valutativo, ad incontrarsi e talvolta questo incontro avviene non senza contraddizioni ed attriti. L’idea che la valutazione possa essere riportata a “fatti e numeri” è, a mio avviso, profondamente sbagliata. Piuttosto, credo che solo attraverso approcci metodologici che tengano insieme la dimensione quantitativa, i fatti e numeri cari a Gradgrind, con la dimensione qualitativa vi sia la possibilità di rappresentare quel complesso spazio di incontro/scontro, legato ad un intervento o ad un programma.

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