Formazione
Tema: se papà fosse nero
Pensieri e racconti in libertà raccolti dalla antropologa Paola Tabet. Paura della diversità e rifiuto dellaltro dominano i sentimenti dei nostri figli. Per loro tutti gli stranieri sono neri. Ma la
Piccoli razzisti crescono. Una ricerca della antropologa Paola Tabet («La pelle giusta», Einaudi) svela attraverso i temi dei bambini, la sedimentazione dell?idea di razza nella società italiana. Esaminando 7.000 temi di alunni fra i 7 e i 13 anni, appartenenti a scuole di tutta Italia, la Tabet documenta le tante anime del nostro razzismo, da quella violenta a quella benevola e paternalista.
?Se i miei genitori fossero neri? è stata, con alcune varianti, la traccia del tema assegnato. In molte classi però sono state dati titoli di controllo, in cui si prospettavano ad esempio «genitori americani», per verificare che le reazioni esposte non fossero principalmente ricollegabili all?idea (traumatica) del cambiamento dei genitori, piuttosto che della loro pelle.
Il quadro che viene fuori dalla selezione dei temi pubblicati (alcune centinaia) è desolante: paura, vergogna, rifiuto imperversano nei sentimenti dei nostri bambini, i quali hanno individuato la ?pelle giusta? e non ci stanno a cambiarla, per nessun motivo.
«Ho cercato di dare visibilità a tutti gli schemi che emergono», spiega la Tabet, che è docente dell?Università della Calabria, «non solo i più violenti o quelli paternalistici. Il punto centrale è la presenza forte di un concetto che avremmo potuto credere scomparso: la razza, ovvero l?idea di una diversità di base fra gli esseri umani. È «?L?idea della pelle giusta?, di qualcosa che rende geneticamente dissimili le persone».
Un pregiudizio che può assumere anche i caratteri di uno slancio fraterno: «Certo», risponde, «un ragazzo di una scuola media di Todi scrive: ?Penso di essere sia razzista che non favorevole al razzismo?. È molto profondo: sente la voglia di aiutare gli altri, i diversi da sé ma al tempo stesso avverte nel profondo il peso di questa idea». Domina, nei nostri bambini, la paura dell?altro. «E non è necessariamente nero di pelle», conferma l?antropologa, «albanesi, ex-jugoslavi, curdi o marocchini vengono in alcuni temi definiti ?negri?. Li unisce la difficoltà, la miseria, la guerra. Un bambino scrive che i negri hanno tre razze di pelle: gialla, bianca e nera?».
È un razzismo che viene da lontano: «Si può seguire questo pensiero fin dal secolo scorso, quindi nell?affermarsi dell?idea colonialista fino ad oggi», osserva la Tabet, «scorgendone le tracce un po? ovunque, dai fumetti alla pubblicità. Un?ideologia così diffusa da diventare impercettibile».
Non possiamo, purtroppo, non dirci razzisti. «A volte anche contrastando il razzismo si finisce per usarne i paradigmi», nota la professoressa, «e gli intenti positivi hanno esito opposto. Ad esempio per mostrare che persone di gruppi diversi comunicano e possono volersi bene, si ricorre spesso all?esempio di animali di specie diversa: un cane che allatta un gattino, per una campagna di adozione a distanza, o il cane bianco che lecca un agnellino nero, in una pubblicità di Oliviero Toscani». Le differenze tra i gruppi umani, ricorda l?antropologa, non sono di questo genere, vi è un?unica razza umana e queste metafore invece, a livello subliminale, ribadiscono un?idea radicata di differenza o addirittura di specie».
Per la studiosa la battaglia contro il razzismo che ci ha permeati si deve combattere anche a scuola. Bisogna partire dai bambini, quando ancora gli stereotipi razziali non sono eccessivamente strutturati. «La scuola potrebbe incidere in questo pensiero», avverte la studiosa, «attraverso un processo che investa, da subito, i programmi, che modifichi i libri di testo, formi in primo luogo gli educatori. Il nostro razzismo», conclude, «è vecchio di due secoli e lo si può contrastare solo con azioni serie, non con iniziative folcloristiche». Oggi la scuola incide invece in negativo: glissando sul nostro colonialismo, sulle leggi razziali, alimentando luoghi comuni. Noi compriamo le cose al supermercato – scrivono alcuni bambini – gli africani devono andare a cacciare. Basta guardare qualche libro di testo, magari di geografia: troppo spesso l?Africa viene presentata solo con foto di belve feroci, savane, nature esotiche. Un armamentario da buttare in fretta, visto che corriamo veloci verso una società multietnica.
Sarebbe disgustoso stare vicino a loro…
Se i miei genitori fossero neri e io bianco sarebbe disgustoso stare vicino a loro. Io penso che i negri non siano uguali a noi né per il colore della pelle, né per la lingua, né per le loro capacità. Se i miei genitori fossero davvero negri, andrei ad abitare da mia nonna, perché i negri non mi piacciono. Quando ritornerei a casa li caccerei, perché puzzano… Fano (Pesaro) – III elementare
E io gli direi: «Andate in Africa!»
Se i miei genitori fossero neri io avrei paura perc hé la notte non si vedono e certe volte gli direi: «Andate in Africa!» e li chiamerei «Uba Uba» e non ci dormirei accanto perché gli africani non mi piacciono e poi perché di notte gli africani dormono male e parlano un?altra lingua e siccome io sono italiano non capisco l?africano e se no mi sporcherebbero la casa mia.
Roma – II elementare
Io mi vergognerei e cambierei famiglia…
Se i miei genitori fossero neri, mi vergognerei di loro e avrei paura di essere stato adottato. Io starei sempre con gli amici bianchi. Parlerei poco con i miei genitori neri perché non mi fiderei di avere genitori neri. Se dovessi andare fuori, starei sempre dietro di loro di qualche metro, o starei in macchina ad aspettarli. E tenterei anche di cambiare famiglia, sperando di non avere più genitori neri.
Certaldo (Firenze) – I media
…Come se fossi tutto infuocato
Se i miei genitori fossero neri io proverei un calore dentro come se fossi tutto infuocato; se li toccassi mi sentirei imbarazzato perché non ho mai toccato un negro. Io con un negro mi troverei bene; solo se andassi in giro con questa gente mi scanzerei da loro perché farei brutta figura. Se io chiedessi qualcosa da bere a mia madre e lei mentre lo porta con qualche parte del suo corpo lo toccasse, io non lo berrei perché se uno è negro non posso distinguere se è sporco o no. Fiumicino, Roma – III elementare
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