Chi oggi compie 22 anni forse non sa che Telethon, in Italia, ha la sua stessa età. Mi fa effetto tornare con la memoria indietro nel tempo, alle prime edizioni, quelle dei pionieri, di una maratona televisiva importata dalla Francia, e prima ancora dagli Stati Uniti. E’ stato, per me, un appuntamento fisso con la comunicazione a forte impatto umano e sociale, con tutte le difficoltà e i compromessi che questo comporta, quando si deve trovare l’appoggio e l’aiuto della grande macchina televisiva della Rai. Certo la televisione pubblica di quegli anni aveva una forza assai maggiore. La situazione economica del Paese pure, anche se, quasi inevitabilmente, ogni anno la maratona ha coinciso con le difficoltà e le crisi di un’Italia che arriva a fine anno con il fiato corto, e con tante spese da sostenere.
Ricordo perfettamente i calcoli di Niccolò Contucci e di Angelo Maramai, che ora non sono più nella corazzata Telethon: dai loro sorrisi, o dal sopracciglio inarcato, si poteva intuire se la raccolta fondi stava andando bene oppure se qualche increspatura si profilava all’orizzonte. Ho fatto notti intere senza dormire, come tanti altri, tra il venerdì e il sabato, partecipando non solo ai programmi televisivi, ma anche a quelli radiofonici, dai tempi più distesi, durante i quali si poteva anche raccogliere la voce della speranza che arrivava da casa, dalle tante famiglie che vivono, con grande dignità, le incognite e i disagi di malattie genetiche rare, rarissime, poco studiate, del tutto sconosciute e non curate.
Ho avvertito spesso la diffidenza delle associazioni delle persone disabili, alle prese con mille problemi di sopravvivenza, e con tante battaglie legate ai diritti di cittadinanza, alla vita qui e oggi, piuttosto che ai temi della ricerca scientifica. Ne ho sempre compreso le ragioni, ma conoscendo da vicino Telethon, la grande serietà organizzativa e di bilancio, la trasparenza della gestione, la qualità della ricerca, tutta italiana (ma monitorata e avvalorata dai migliori e più famosi studiosi del mondo), non mi sono mai tirato indietro, portando, nel mio piccolo, una testimonianza più da giornalista che da persona informata sui fatti, con quegli esiti di osteogenesi imperfetta che ancora oggi mi colpiscono duramente, costringendomi a casa, con le gambe bloccate, per fratture determinate proprio dalla fragilità ancora non curata come si deve.
Ecco perché oggi scrivo ancora il mio appello per una adeguata attenzione a questa raccolta fondi, che ripropone il tema cruciale per lo sviluppo del nostro Paese del finanziamento, serio e costante, alla ricerca per sconfiggere le malattie genetiche. Una generazione dopo l’esordio siamo ancora lì, a constatare che senza la generosità degli italiani molti progetti si fermerebbero. Senza il convinto apporto di scienziati, di giovani ricercatori, di migliaia di volontari che incredibilmente crescono di anno in anno nonostante la crisi, le malattie genetiche rare non avrebbero, nel nostro Paese, una speranza ragionevole di soluzione.
Conosco bene Francesca Pasinelli, donna tenace, forte, determinata e dolce al tempo stesso. Sono certo che saprà trovare le parole giuste per convincere tutti a mandare almeno un sms solidale al 45502. Scommetto che ancora una volta verrà superato il record delle donazioni, già altissimo. E se questo si verificherà, vorrà dire che gli italiani, nonostante tutto, sanno scegliere e si fidano solo delle iniziative serie e affidabili.
Ma è pur vero che vorrei vedere lo Stato italiano imparare la lezione di Telethon, e investire come si deve sulla ricerca scientifica di eccellenza, valorizzando i giovani talenti, trattenendoli in Italia, e magari addirittura attirandone altri dall’estero. Vorrei che non fosse necessario usare ancora oggi il termine “solidarietà” e “generosità” per connotare un’azione che invece è un investimento, quasi egoistico, sulle speranze di salute delle generazioni a venire, sui figli dei ragazzi che oggi compiono appunto 22 anni. La ricerca di Telethon, in Italia, è sempre stata corretta e rispettosa della vita, e del diritto di vivere anche delle persone che nascono con gravissime anomalie genetiche (non entrando volutamente nel merito di discussioni bioetiche spesso viziate da impostazioni ideologiche o religiose), ma tutto questo non è affatto in contrasto con il legittimo tentativo di sconfiggere e di curare le malattie che poi tanto rare non sono, se è vero che, sommate insieme, riguardano il 4 per cento della popolazione infantile.
Certo negli anni sono cambiate tante cose, sono arrivati i primi risultati, ci stiamo avvicinando alla cura, ossia al successo della ricerca clinica, e non soltanto, come agli inizi, all’individuazione dei difetti genetici, ossia alla ricerca di base, che pure continua a essere fondamentale, perché i segreti della natura umana sono tanti, e spesso inestricabili e complessi.
E’ cambiata anche la comunicazione, non c’è più solo la televisione tradizionale, ci sono i canali digitali, le pay tv, cresce l’uso dei social network, della tv via web, di twitter, dei blog. C’è forse il pericolo di una ridondanza dei media, e di una dispersione del messaggio. Eppure Telethon è ormai una tradizione, quasi rassicurante. Un momento nel quale la Rai si ricorda davvero della propria insostituibile funzione di servizio pubblico e dà onestamente il meglio di sé, dagli autori, ai programmisti, ai conduttori, agli artisti, ai tecnici, ai tanti che partecipano gratuitamente e con passione. Forse quest’anno Telethon può essere un momento di riflessione sulla coesione sociale e umana del Paese, attraversato da egoismi, grettezze, paure, persino rabbia sociale.
Ogni tanto rivedo il corto “Solo cinque minuti”, realizzato qualche anno fa (e si vede) da Filippo Soldi per Telethon, con Valeria Golino e me. E non posso non ringraziare Telethon per avermi offerto questa opportunità, unica e rara, di raccontare una vita attraverso le emozioni di un dialogo sincero e imprevedibile. Telethon è anche, da sempre, una finestra sulla vita reale, e non solo un’arida contabilità delle donazioni.
Resta incomprensibile, ancora oggi, perché in Italia non esista una seria legislazione sull’incentivazione alla donazione personale mirata alle buone cause. Mai come adesso, che la spesa pubblica si contrae a dismisura, e i tagli, quasi inevitabilmente, partono proprio da ciò che è poco difendibile per mancanza di interessi lobbistici (le malattie rare, da questo punto di vista, sono un caso esemplare) ci vorrebbe uno scatto di coraggio e di lungimiranza, che forse un governo di “tecnici” potrebbe anche permettersi. L’intero mondo del non profit, e non soltanto la ricerca genetica, ne trarrebbero finalmente giovamento e stimolo.
Intanto, con le gambe bloccate nei tutori in resina, davanti al mio televisore in hd, farò il tifo, come sempre, per i miei amici di Telethon. Buona fortuna, ragazzi.
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