Famiglia

Telefono Azzurro, molto più di un numero

Viaggio dentro i "segreti" dell'associazione

di Redazione

Il call center è solo un pezzetto delle attività dell’ente nato 23 anni fa. Poi ci sono i contatti internazionali, il centro studi e percorsi di formazione all’avanguardiaSe pensate a un grande call center su misura per i piccoli, siete fuori strada. Perché il superare la dimensione asettica di una linea telefonica, qui, è la precondizione del servizio. Qualunque sia il numero che facciate – e ce ne sono quattro (19696 per bambini e adolescenti, 199151515 per gli adulti, 114 per le emergenze e 116000 per le scomparse di minori), complessivamente più di un milione e mezzo di contatti nel 2009 – il “modello Telefono Azzurro” è sempre lo stesso. Di cui il telefono è solo un pezzetto.

Territorio ed Europa
«Dal 1987 ad oggi non si è trattato solo di ascoltare dall’altra parte di un telefono. All’ascolto si è affiancato un costante lavoro di analisi e di studio di quanto i bambini riferivano, per raccogliere i loro bisogni e farsene portavoce», spiega il professor Ernesto Caffo, presidente dell’associazione. «Le attuali modalità di ascolto e di intervento sono frutto di un costante confronto a livello internazionale: insieme ai membri di Child Helpline International e di Missing Children Europe sono stati definiti principi e standard di qualità della risposta telefonica, sulla cui base abbiamo sviluppato percorsi formativi ad hoc per i nostri operatori». Le singole esperienze restano, ovvio, «crediamo però che la connessione tra impegno locale e progettualità internazionale sia oggi condizione imprescindibile per far fronte alle tante sfide della tutela dell’infanzia». Sollecitato dai cambiamenti sociali e dagli input provenienti dagli altri Paesi, in 23 anni Telefono Azzurro ha cercato anche nuove soluzioni in campo tecnologico: non a caso prestissimo aprirà un nuovo servizio di consulenza online.
«Molti pensano a Telefono Azzurro come ad un centralino cui segnalare le emergenze dell’infanzia», spiega Anna Rita Lissoni, coordinatrice delle linee di ascolto di Milano. «Il punto però è come noi concepiamo l’emergenza: non come raccolta di una denuncia fatta al telefono ma come qualcosa di più. Noi abbiamo un progetto a medio-lungo termine, l’obiettivo di interrompere il flusso delle emergenze: se ci si limita a mandare una volante, la vita del bambino cambia poco». Ecco allora il grande sforzo per creare il raccordo con il territorio. Quando la collaborazione funziona, il vantaggio è per tutti, per il bambino in primis. Persino in situazioni gravissime come quelle segnalate al 114. «A volte le forze dell’ordine ci richiamano, una volta che sono dentro la casa. Riusciamo a vedere il bambino con i loro occhi e, se necessario, a dare loro indicazioni utili sul modo migliore per interagire con lui anche quando è in grave stato di shock», spiega Valeria Zerbo, coordinatrice della sede milanese del 114.

Non basta parlare
L’altro aspetto qualificante del modello è la formazione degli operatori, che devono essere capaci non solo di ascoltare e di parlare con un bambino, ma anche di comprendere sottili risvolti giuridici e psicologici della problematica riferita, nonché di interagire con altre professionalità e con colleghi di tutta Europa. Dentro il Centro di ascolto, a Milano e a Palermo, succede questo. Ma non finisce qui. L’associazione attraverso il suo Centro studi elabora i dati, si confronta con altri network europei e restituisce un’immagine e una conoscenza del disagio infantile e adolescenziale che vanno a cambiare i percorsi formativi degli stessi operatori delle linee telefoniche ma anche a incidere sui modelli operativi. E queste stesse conoscenze divengono stimolo per nuove politiche per l’infanzia e proposte normative. Pensate ancora che sia solo un call center?


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA