Welfare
Telefono amico, se il comune dice no
In base ai fondamenti giuridici l'associazione può far valere le proprie ragioni.
La nostra associazione ha attivato, con l?amministrazione comunale, una linea telefonica per le richieste di aiuto, nel quadro di un progetto di prevenzione e informazione sugli abusi sessuali sui minori. Ora ci è stato comunicato che, in base a normative non meglio specificate, l?ascolto telefonico non può essere gestito dal privato sociale ma solo da strutture pubbliche. Che fare per sapere quali sono le normative richiamate dai funzionari e se hanno ragione di essere applicate in questo tipo di servizio?
Ass. L?isola di Peter (email)
La domanda così posta manca di un elemento fondamentale: occorrerebbe, infatti, sapere quali sono le norme su cui si basa il punto di vista dei funzionari dell?amministrazione comunale. Ma l?associazione ci fa sapere che ha fatto questa richiesta al Comune senza aver avuto finora alcun esito. E anzi, ha prodotto all?amministrazione alcune tesi a sostegno della possibilità che l?ascolto telefonico possa essere gestito da soggetti del privato sociale, come alcuni approfondimenti dei Quaderni del Centro nazionale minori precisano.
È naturalmente un diritto dell?associazione sapere con esattezza quali sono i riferimenti legislativi e non può bastare il richiamare genericamente alcune norme non meglio specificate. C?è da dire che questo scambio di opinioni tra associazione e Comune è fin qui avvenuto in modo informale e in esecuzione di una convenzione che sarà presto soggetta a possibile rinnovo. Pertanto, l?associazione dovrà chiaramente attendersi una formalizzazione della posizione dell?amministrazione nel momento in cui si dovrà procedere all?eventuale prosecuzione del rapporto.
Abbiamo comunque chiesto un parere all?ufficio del difensore civico della Toscana che può solamente avanzare ipotesi.
“Forse sono le norme sulla privacy”, spiega il dottor Gasparrini (il funzionario che segue le questioni di sanità) “le uniche che, in base a quanto al momento sappiamo, potrebbero effettivamente avere a che fare con il tipo di servizio assolto dall?associazione”. Norme che però apparirebbero interpretate in modo eccessivamente restrittivo.
“Penso a un?applicazione della norma come divieto di appaltare a terzi linee telefoniche dedicate al trattamento di dati sensibili. Ma, per esempio, in una Azienda sanitaria toscana il Centro unico di prenotazioni della Asl è appaltato a una società esterna. E anche in questo caso siamo in presenza di un trattamento di dati sensibili”.
Per quanto le situazioni possano essere comparabili, il decreto legislativo n. 135 dell?11 maggio 1999 Disposizioni integrative sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici individua, nel caso di tossicodipendenze (art. 19), come trattamenti di dati “(?) quelli svolti al fine di assicurare, anche avvalendosi di enti e associazioni senza fine di lucro, i servizi pubblici necessari per l?assistenza socio-sanitaria (?)”.
Il dottor Gasparrini aggiunge comunque che “l?amministrazione che ha opposto il diniego, ai sensi della legge n. 241/90 e probabilmente anche del regolamento comunale sul procedimento amministrativo, deve rendere noti all?associazione i fondamenti giuridici in base ai quali ritiene di non poter più affidare l?incarico di collaborazione a terzi”.
In base ai fondamenti giuridici e a ogni motivazione presentati dall?amministrazione, l?associazione potrà eventualmente far valere le proprie ragioni. Sempre ricordando la possibilità di ricorrere al difensore civico del proprio Comune o, in assenza, della Regione di appartenenza per un supporto tecnico.
Il punto
In caso di convenzioni con gli enti locali un’associazione ha diritto di sapere, quando l’amministrazione sospende il servizio, i riferimenti normativi su cui si é basata la decisione. L’associazione può anche ricorrere al difensore civico del Comune o della Regione per far valere le proprie ragioni.
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