Volontariato

Teheran gioca al rischiatutto

Marcella Emiliani, esperta di Medio Orienta: «Questa guerra è stata scatenata per bloccare l’avvicinamento tra Israele e la nuova leadership palestinese. Ci sono le prove»

di Paolo Manzo

Marcella Emiliani è stata decisamente all?altezza della sua fama. Punto uno: perché la sua analisi sugli scenari passati e presenti che caratterizzano la nuova crisi in Medio Oriente non trova riscontro nella valanga di notizie che ci giungono dal Libano. Punto due: ora si capisce perché i suoi colleghi la considerano tra le massime esperte di questioni geopolitiche mediorientali. Docente di Storia e istituzioni del Medio Oriente presso l?università di Bologna e Forlì, Marcella Emiliani è impegnata da oltre quindici anni in attività di ricerche sull?area geografica più esplosiva del mondo. La vittoria di Hamas (2006, Il Ponte) è solo l?ultima di una serie infinita di pubblicazioni che testimoniano la passione di un?osservatrice a cui nulla è sfuggito: dalla prima guerra del Golfo al fallimento degli Accordi di Oslo, passando per i vicoli ciechi della Road Map e le strategie di legittimazione adoperate dai regimi arabi a scapito della pace. Tutti temi e eventi storici che stanno al cuore della crisi libanese, ma che pochi hanno preso in considerazione. Per questo Vita l?ha intervistata. Vita: La crisi è complessa, ma sarà pur necessario partire da un fatto per spiegarne le origini. Quale sceglierebbe? Marcella Emiliani: Bisogna risalire alla vigilia del rapimento del giovane militare israeliano quando Hamas e Abu Mazen stavano per raggiungere una forma di accordo che avrebbe avuto risvolti piuttosto interessanti. Vita: Quali? Emiliani: Con quest?accordo, Hamas sarebbe entrata nell?Organizzazione di liberazione per la Palestina, il che significa il riconoscimento implicito di Israele che l?Olp aveva già fatto nel 1988. Di fronte a una campagna elettorale tutta improntata sulla linea dura contro Israele, si trattava di una marcia lenta che consentiva ad Hamas di non perdere la faccia. Quindi si stava producendo da gennaio, cioè dal trionfo elettorale di Hamas, una situazione che era plausibile non solo per rompere lo stallo tra israeliani e palestinesi ma, cosa più importante, per disinnescare quel meccanismo di effettiva guerra civile che si stava insinuando negli apparati di sicurezza palestinesi e nei palazzi del potere civile, con a latere forze che non erano sotto il controllo né degli uni né degli altri, come la Jihad islamica, e che continuavano a minacciare apertamente Israele. Vita: Ma allora chi ha avuto paura di questo accordo? Emiliani: Di sicuro non Israele che, al contrario, se lo augurava da tempo, perché neanche gli israeliani vogliono dei razzi in casa loro. Da Gaza basta un passo per portare la guerra civile in Israele. Quindi è all?interno di questo quadro che bisogna ragionare ed ecco che, di punto in bianco, si fa vivo Hezbollah, protagonista di uno sconfinamento in territorio israeliano attraverso attacchi a pattuglie militari e il rapimento di due soldati israeliani. Vita: Vediamo di scomporre il puzzle Hezbollah? Emiliani: Hezbollah è una grandissima anomalia. Innanzitutto dal punto di vista legale. In base all?accordo di Taif del 1989 con cui era stata posto ufficialmente fine alla guerra civile libanese, tutte le milizie arabe presenti in territorio libanese erano state disarmate, salvo Hezbollah. Sul perché la risposta è semplice. A quei tempi Israele occupava la fascia meridionale del Libano. Naturalmente senza mai menzionare il protettorato che la Siria aveva imposto sul Libano attraverso questo accordo, si giustificava la presenza di Hezbollah in armi per contrastare l?occupazione israeliana. Vita: Nel frattempo, però, subentra nel 2000 il ritiro delle truppe di Israele dal Sud Libano? Emiliani: Esattamente. Nonostante il ritiro, Hezbollah continuò ad essere in armi. Ufficialmente per contrastare Israele in quanto il governo Barak aveva mantenuto una sua presenza in Libano in un fazzoletto di terra di circa venti chilometri quadrati che si chiama Sheeba Farms. Nel frattempo Hezbollah era diventato bicefalo, un po? come Hamas: da un lato un partito politico, dall?altro un braccio armato. Quando Hezbollah compie la sua azione il 25 giugno scorso, asserisce di avere pianificato l?attacco da ben cinque mesi. Ora, un governo libanese che assicura di non saperne nulla, nonostante tra i suoi ranghi siano presenti due ministri di Hezbollah, o è incompetente, o è un governo asservito a qualcuno, oppure è connivente e non lo vuol dire. Così ha ragionato Israele, e così facendo ha dichiarato una vera e propria guerra al Libano. Vita: A questo punto bisogna capire chi così tira acqua al suo mulino? Emiliani: Per una volta do ragione agli Stati Uniti. I due Stati che più avevano da guadagnare con questa crisi erano la Siria e l?Iran. Damasco e Teheran non possono tollerare una pacificazione palestinese che porti alla nascita di due Stati perché verrebbe meno un pilastro essenziale della loro politica estera. Per entrambi gli Stati è importante strumentalizzare la causa palestinese, perché è sulla politica estera che raccolgono un consenso interno che, altrimenti, difficilmente avrebbero. L?altro motivo attiene a un ragionamento di politica regionale molto complesso. In questo momento gli Usa sono in un?evidente impasse in Iraq. L?unica loro preoccupazione è trovare uno straccio di exit strategy che consenta di uscire dal pantano iracheno salvando la faccia. Ma Washington sa benissimo che, appena partite dall?Iraq, le truppe Usa lasceranno un vuoto che verrà immediatamente colmato da una Russia seriamente impegnata a riconquistare un ruolo di punta a livello internazionale. E non è un caso se l?aggressione di Hezbollah ha avuto luogo alla vigilia del G8. Questo atteggiamento della Russia spiega perché la sfida iraniana sul nucleare si sia potuta spingere sino a dove si è spinta, e sappiamo che il veto contro le sanzioni a Teheran lo hanno imposto Mosca e Pechino. Per motivi geostrategici entrambe le nazioni hanno interesse a sostenere il regime iraniano. Inoltre Iran e Siria si ritengono strangolate nell?area e sanno che se continua la campagna internazionale che li indica come Stati canaglia, prima o poi saranno costretti a scendere a patti con qualcuno e dovranno affrontare il discorso della loro debolezza interna. Cosa che ovviamente non vogliono fare. A quel punto hanno deciso di fare scoppiare una guerra su due fronti contro Israele, in modo che l?Occidente, in particolare gli Usa, fosse obbligato a trattare con loro. Vita: E l?Onu in tutto questo? Emiliani: Per anni i Caschi blu hanno letteralmente bivaccato nella fascia di sicurezza a sud del Libano, ma non mi sembra che siano riusciti a risolvere granché. Ma non è un caso se la soluzione Onu è stata sventagliata durante il G8. Le Nazioni Unite servono in questo momento a stendere un velo sui dissensi di fondo che animano le grandi potenze, in particolare Stati Uniti, Russia e Cina. Senza un accordo politico tra queste potenze e, poi, tra gli attori locali, l?Onu non andrà da nessuna parte. Vita: Che futuro per i palestinesi? Emiliani: Ma a quali palestinesi vi riferite? Il problema per Israele è capire chi è il suo interlocutore. Abu Mazen non rappresenta Hamas. Ma poi quale Hamas? L?Hamas di Ismael Hanyeh oppure quello di Khamel Meshaal, che a Damasco se ne sta a braccetto con il presidente siriano Assad e plaude ogni due per tre alle dichiarazioni antisemite di Ahmadinejad?

ha collaborato Joshua Massarenti


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