Volontariato

Teatro in carovana

"In principio ci fu la Guerra. L’Iliade ne fu un racconto. Dopo la Guerra: l’Odissea" (Hélène Cixous). Intervista a Duccio Bellugi -Vannuccini (di Chiara Dal Maso).

di Redazione

Il fiume fa da confine, arrabbiato, si alza, si abbatte, il passeur, pagato troppo caro, non vuole più portare dall?altra parte; l?amore a Kabul che tenta di nascondersi sotto un burka; un treno per l?Inghilterra che non passa o che passa troppo veloce; a Calais, sotto la pioggia, il traffico del sesso e dei soldi, le donne sottomesse alla legge degli uomini; Teheran, le manifestazioni, la repressione e la fuga. Le dernier Caravansérail é uno spettacolo che si compone di tanti frammenti di vite, di peripezie, di mille dettagli quotidiani di quelli che sono chiamati rifugiati o richiedenti asilo. Le loro storie lungo le rotte che dall’Iran, dall’Afghanistan, dalla Russia, dall’Irak o dall’ex Jugoslavia portano alle nostre ricche sponde. è uno spettacolo sul confine di una rete metallica che mettiamo tra ?noi? e ?loro?. è uno spettacolo che fluttua, che galleggia, non toccando mai terra, come gli attori, le case e gli oggetti che per muoversi nello spazio teatrale sono portati da piccole assi di legno su rotelle, mosse da altri commedianti. E ti trovi a tifare per alcuni tra i molti che tentano di passare al di là del confine, ti dici ?almeno la vecchietta di Mosca, almeno lei, visto che cammina cosi male?. O ti soffermi sullo sguardo tra un agente di sicurezza e una vecchia kurda, su quell?unico guardare in volto che potrebbe salvarci. Il Theatre du Soleil é una delle più grandi compagnie teatrali di Francia e d?Europa, un collettivo di più di 30 attori da tutto il mondo. Nata nel 1964 da un gruppo universitario teatrale, la sua mente e il suo cuore si chiama Ariane Mnouchkine. Il giorno dopo lo spettacolo mi ritrovo con Duccio Bellugi-Vannuccini, l?italiano della compagnia. Nato a Firenze, vissuto a Roma, dopo aver studiato danza in Germania e aver fatto uno stage di mimo alla scuola di Marcel Marceau a Paris, entra al Theatre du Soleil nel 1987. E ci resta. Mai fermo, però. Come é nato Le dernier Caravansérail (Odyssees)? Da una proposta di Ariane. Nel Maggio 2001, e nei mesi successivi, é andata a Sangatte e ha incontrato un po? di persone, ha parlato con loro e ne é rimasta colpita. Poi, nel gennaio 2002, mentre eravamo in tournée in Australia con il nostro precedente spettacolo, Tambours sur la digue [che ha vinto 3 Molière nel 2000, il riconoscimento teatrale più importante in Francia, ndr], ha visitato il centro di detenzione di Villawood ed é rimasta là per un po? di tempo; mentre il resto della compagnia é tornato in Europa e subito siamo ripartiti per visitare altri luoghi, chi a Sangatte, chi, come me ad esempio, in Iran. Che cosa sono questi ” centri di detenzione “? Sono centri per tutti coloro che arrivano in Australia senza documenti per potervi entrare, persone che solitamente arrivano per mare, in barconi. Villawood é il centro di detenzione australiano più importante. Ma, mentre Sangatte era un centro della Croce Rossa, cioé un luogo dove si poteva entrare e uscire liberamente, dal centro di detenzione non é possibile uscire. Se sei fortunato, vieni rispedito nel tuo Paese. Magari dopo 3 anni. Da questi incontri, quindi, é nato lo spettacolo? Non precisamente. Ariane é arrivata con un materiale enorme, fatto di testimonianze, di racconti, ma non ci ha fatto vedere nulla, ha preferito lasciarci improvvisare. Si arrivava la mattina e si improvvisava fino a sera. Si diceva ” io vorrei provare questo ” e allora si correva a costruire quel che occorreva e si improvvisava. E le cose andavano bene o non andavano. Su che temi improvvisavate? Tutto era molto libero. Più che temi, Ariane ci ha chiesto uno ?spazio?. Il punto centrale era come fare a parlare di tutto questo mondo : di Sangatte, dell?Australia, dell?Iran, dell?Afghanistan. Di tutti questi mondi. All?inizio le scene si svolgevano tutte all?interno di un camion, ma poi abbiamo avuto bisogno di altri luoghi, altre situazioni. Il camion, però, era un luogo sopraelevato, su delle ruote, e da lì abbiamo visto che per noi non era più possibile camminare per terra, per cui é nata l?idea di muoversi su delle tavole a rotelle mosse da altri commedianti. Da improvvisazione ad improvvisazione sono nati i vari frammenti che compongono lo spettacolo, senza che Ariane ci facesse vedere il materiale. Magari poi, di tanto in tanto, ci diceva: ?Ah ! Questo mi ricorda questa storia qui?. Ma non ci raccontava prima le storie, non voleva che ci si sentissimo imprigionati a raccontare quella storia lì. è stato un modo di lavorare nuovo anche per Ariane. Nello stile di recitazione che ci caratterizza, tutto il nostro teatro é basato sulle maschere, non é mai realista, e qui in fondo, Ariane ci domandava di vivere, era più che realista, direi iper realista. E quindi sono nate tante piccole storie? Si, più di 400. Da settembre 2002 abbiamo sempre e solo improvvisato senza mai riprenderne in mano una, fino a gennaio. A volte ne nascevano anche 6 o 7 in una sola giornata. Poi il lavoro di vedere se queste improvvisazioni tenevano é stato fatto dopo. Addirittura il lavoro di ?montaggio? é stato fatto gli ultimi 15 giorni. C?erano talmente tante cose che abbiamo dovuto tagliare. All?inizio l?idea era di uno spettacolo che sarebbe stato evolutivo, dove ognuno poteva mettere una scena, toglierla e poi metterne un?altra. E poi in fondo é stato come il montaggio di un film, é vero che si potrebbe rimontarlo in un altro modo, ma é vero che il film ha una sua logica, un suo equilibrio. Una sua forza, direi. Da questo lavoro di montaggio é nato ?Le fleuve cruel?, il fiume crudele. Nasceranno altri ” montaggi ” ? Ancora non sappiamo in realtà. Per il momento siamo in scena con questo primo ?montaggio? ed é vero che ne é in programma un secondo per il prossimo autunno. Probabilmente, poi ne nascerà anche un terzo, più malleabile. Vorrei, però, sottolineare che tutto il lavoro di ?effacement?, di cancellazione é stato possibile perché la storia, questa storia é molto più grande dei nostri piccoli egoismi, del nostro volerci mettere in mostra. è una cosa che mi ha stupito, perché la tentazione per un attore di fare un passo avanti sul palco é molto forte. Rimane però il fatto che é uno spettacolo dove non c?é un?unica storia, ma mille frammenti. Sì, perché non volevamo raccontare la storia dei rifugiati, o la storia di un rifugiato dall?inizio alla fine : volevamo raccontare quella persona lì in quel momento là, raccontare quella persona ad esempio che tenta di attraversare il fiume. Non sono testimonianze, non é la storia di un eroe, ma tutti sono gli eroi in quel momento. Per questo é frammentato. Poi all?interno del ?montaggio? ci sono storie che si possono seguire, come ad esempio gli innamorati afghani. E inoltre i personaggi evolvono, cambiano all?interno dello spettacolo. Ad esempio, il mio personaggio, Misha, il passeur russo, alla fine diventa più cattivo di quello che era all?inizio. Rimane comunque il fatto che sono storie che inizialmente possono essere prese individualmente, ogni storia può stare in piedi da sola. Ho notato che in quasi ogni scena é presente un albero, a volte un ulivo. Questo é venuto perché eravamo focalizzati su dei particolari, su dei primi piani. Diciamo che la scena era enorme e andava poi a chiudersi su un primo piano. Ariane, però, aveva bisogno di lasciare aperto lo spazio : ecco allora la presenza di un albero, o di un lampione, o di un traliccio. L?ulivo, poi, é stato il primo albero: nel settembre scorso Ariane ha tenuto uno stage gratuito per 400 persone (e alle audizioni se ne sono presentate 2000!) e alla fine ci é stato regalato questo ulivo, che abbiamo messo in scena. Da lì poi ne abbiamo aggiunti altri. La scelta delle lingue : voi recitate in lingua? originale ? Si, recitiamo non solo in francese, o in un mélange tra inglese e francese, ma anche in kurdo, in persiano e in russo. All?inizio, quando improvvisavamo, erano lingue inventate, improvvisando si faceva finta di parlare in persiano. Poi, grazie soprattutto a Shanghayegh Beheshti, colei che ha accompagnato e fatto da traduttrice a Ariane nei vari campi che ha visitato, abbiamo imparato ad esempio il persiano. Diciamo le basi e la fonetica , e in seguito, le battute a memoria. E la musica? Anche questa é completamente diversa rispetto al passato.Jean-Jacques [Lemêtre, il maestro, ndr] ha sempre composto musica acustica. Qui invece é arrivata una musica, diciamo, cinematografica. Come gli spazi, d’altronde, che sono grandi, aperti, ma che allo stesso tempo si fissano, si focalizzano su un particolare, su uno sguardo. E così la musica é diventata aria, molto più piena. Siete ancora in contatto con le persone che avete incontrato? Beh, alcuni ora sono qui con noi al Theatre du Soleil. Sarkaw, rifugiato kurdo, ad esempio recita nello spettacolo. Un altro paio lavorano da noi, cucinano i loro piatti. Di altri sappiamo che sono riusciti ad arrivare in Inghilterra o in Nuova Zelanda. Ma di molti non abbiamo più notizie. Per quanto riguarda, invece, i volontari della Croce Rossa di Sangatte, sono venuti a vederci. Avevamo paura, noi, anche perché raccontavamo poco di loro, sono le persone che abbiamo avuto più difficoltà a mettere in scena. Ed invece é stata la prima volta che li abbiamo visti in lacrime, cosa che non potevano permettersi a Sangatte, non potevano farsi vedere fragili. è stato importante per noi.

Chiara Dal Maso

Info: Le dernier Caravansérail (Odyssees) Lo spettacolo che vi abbiamo raccontato in anteprima sarà a Roma, al Galoppatoio di Villa Borghese, dal 11 al 17 settembre. Sito web: Le theatre du soleil

Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA