Mondo
Tè amarissimo per Obama
I repubblicani riconquistano la Camera, non il Senato
Controllo della Camera dei rappresentanti con un’ampia maggioranza, forte avanzata al Senato ma non sufficiente per assumerne la guida. I risultati delle elezioni di medio termine confermano i sondaggi della vigilia per i repubblicani: un grande successo ma non il trionfo sperato. Un successo inoltre condizionato dalla forza dell’ala destra dei conservatori, formata dai candidati del Tea Party, che elegge due senatori in Kentucky e Florida. E anche per quanto riguarda i governatori, i repubblicani ne strappano dieci ai liberals, ma perdono il più importante: la California di Schwarzenegger. Queste le notizie di stamani, con i dati reali. Il momento difficile di Obama è comunque sulle prime pagine dei giornali di oggi, che basano titoli e commenti sugli exit poll, comunque vicinissimi al dato definitivo.
- In rassegna stampa anche:
- BERLUSCONI
- YUNUS
- MALTEMPO
- BENI CONFISCATI
- CRISTIANI
- DISABILI
“L’onda dell’America scontenta scuote i democratici di Obama” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA che dedica moltissime pagine alle elezioni negli Stati Uniti, dalla 2 alla 9. In mancanza dei dati definitivi il giornale sceglie la strada dei commenti e delle analisi, delle interviste già realizzate in previsione di quanto stava accadendo nelle urne. In particolare due i commenti di rilievo, che partono entrambi dalla prima: “Ripartire dal fisco in chiave bipartisan” di Massimo Gaggi e “Qualcosa si è rotto non solo a Chicago”. Leggiamo un passo dell’economista Massimo Gaggi: “Chiuse le urne, è il momento di trarre le conclusioni, di rinnovare, almeno in parte, la squadra di governo. Obama doveva osare di più con la manovra a sostegno dell’economia quando, a inizio mandato, disponeva di un capitale politico ancora intatto? – si domanda Gaggi – Probabilmente sì, ma anche quelli approvati non sono certo stati interventi irrilevanti. Ma chi si è accorto che il «pacchetto» della casa Bianca ha ridotto le tasse al 95 per cento degli americani? Nessuno, a giudicare dalla diffusa sensazione che negli ultimi due anni le imposte non siano state affatto ridotte ma siano, anzi, salite. Quanto all’occupazione, lo stimolo ne ha creata un po’ finanziando l’apertura di nuovi cantieri, ma soprattutto ha limitato i licenziamenti di insegnanti, poliziotti e impiegati pubblici, dando un po’ di sollievo alle esauste casse di Stati e municipi”. E conclude: “Al ritorno negli Usa, a metà novembre, oltre ad avviare la revisione della strategia per l’Afghanistan, Obama si giocherà una partita decisiva sulle questioni economiche interne: avvio dell’indispensabile ridimensionamento del deficit pubblico di lungo periodo e, soprattutto, la decisione sull’eventuale proroga (totale o limitata ai ceti medi) degli sgravi fiscali di Bush che scadono a fine dicembre. Per Obama un’occasione per riallacciare il dialogo coi repubblicani moderati sulle cose da fare. Con un clima politico ancora surriscaldato, trattare sotto i riflettori del Congresso non sarà facile. Per questo diventa importante il ruolo della Commissione «bipartisan» (10 democratici, 8 repubblicani) guidata dal democratico Erskine Bowles e dal repubblicano Alan Simpson che da mesi sta lavorando alacremente e lontano dai riflettori sui problemi più spinosi della finanza pubblica Usa”. Aldo Cazzullo si concentra invece su Chicago, roccaforte fino a ieri di Obama, e ora in mano ai repubblicani. E cerca le spiegazioni nelle tante storie delle persone del clan del presidente degli Stati Uniti: “Qui non ci sono i Tea party. Ai repubblicani non serve alzare la voce. Basta cogliere lo sgretolamento della macchina democratica: la spietata, corrotta ma un tempo efficientissima «Chicago machine», di cui Obama è l’ultimo prodotto. Una storia politica si chiude. La saga di Richard Daley, sindaco dall’89, figlio e omonimo del Richard Daley che governò dal ’55 al ’76 e fece votare anche i morti pur di accontentare il patriarca Joseph Kennedy – «ok Joe, daremo una mano a quel tuo ragazzo» – e decidere le presidenziali del 1960. Ora Daley junior si è ritirato. Per il Comune si vota a febbraio, e i democratici schierano il capo dimissionario dello staff di Obama, Rahm Emanuel, detto Rahmbo per l’eleganza dei modi. Anche lui rischia. Perché la «Chicago machine» è impazzita”. E’ ancora possibile, sostiene Cazzullo, che Obama compia l’impresa di essere rieletto a fine mandato, stando ai precedenti storici. “Ma «Obama non è Roosevelt» ricordava ieri l’editoriale del Wall Street Journal – conclude l’inviato del CORRIERE – . L’America sembra pentita di aver affidato il comando a un uomo affascinante, dalla storia straordinaria, ma che non aveva mai amministrato uno Stato o anche solo una pizzeria. Figlio della città più sanguigna d’America: i mattatoi da cui uscivano le bistecche dei pionieri, le guerre di mafia negli anni di Al Capone e Sam Giancana, le teste fracassate dei pacifisti alla convention democratica del 1968, le bare gettate via dal cimitero dei neri per rivendere le tombe – è successo l’anno scorso -; e stanotte un verdetto crudele, che potrà ancora essere ribaltato, ma può anche essere letto come un segno del declino dell’America e dei suoi idoli”.
LA REPUBBLICA apre sulla politica (“Berlusconi insulta i gay”) e riserva fotonotizia di spalla alle elezioni americane: “Usa, Obama punito. Camera ai repubblicani”. I servizi da pagina 12 a pagina 15. Inizia Angelo Aquaro che riferisce la notte di proiezioni, exit poll e poi l’arrivo dei risultati. «Obama parlerà alla nazione oggi spiegando come intende cavarsela nei prossimi due anni di coabitazione con i repubblicani». Intanto però il Senato sembra tenere (anche se gli esperti prevedono una serie di riconteggi). Intervistato da Loni Swain (su Radio Chicago), il presidente ammette che «tanta gente ancora non è riuscita a cogliere il messaggio, a capire che queste erano elezioni importanti». Sugli effetti, Barack esemplifica con le borse di studio: «abbiamo destinato miliardi di dollari nei programmi per prestiti agli studenti che erano destinati alle grandi banche… Ora i repubblicani vogliono riportare tutto indietro per permettere invece di tagliare le tasse ai milionari». «Spero», afferma, «di poter lavorare con i repubblicani. Ma naturalmente dipende dal tipo di compromessi che sono disposti a fare. E dipende dal tipo di Congresso che verrà fuori». Non ho alcun rammarico, conclude, relativamente alla riforma sanitaria: «Sapevamo che ci sarebbero state delle resistenze perché le compagnie assicurative non vogliono rinunciare ai loro profitti e trovano vantaggioso mollare la gente quando si ammala». Chiude Federico Rampini: “Sanità e banche, è sfida in vista del 2012”. Si apre una dura battaglia per il presidente: il primo scontro sarà probabilmente sui tagli alla spesa pubblica. «Obama deve trovare un equilibrio delicato: risanare i conti pubblici senza un crollo di spesa che può uccidere la ripresa… Userà il veto presidenziale se la destra tenta di abrogare la sua riforma sanitaria. Difenderà con le unghie e con i denti anche la riforma delle regole della finanza, soprattutto la creazione di una nuova authority per proteggere i consumatori dagli abusi delle banche».
“Questo è il giorno dei Tea Party ribelli d’America” è il titolo al commento su IL GIORNALE di Giuseppe De Bellis che scrive: «Politicamente scorretti, anti-tasse, anti-statalismo, l’ala più radicale dei repubblicani non è chic, ma è stata capita e scelta dall’America arrabbiata con la Casa Bianca e con tutta Washington». E ancora: «I Tea party possono non piacere, ma sono la dimostrazione che l’America è viva, che dal basso dall’alto, con l’aiuto di finanziatori o con le proprie forze, si possa ancora creare un movimento che faccia opinione. Mente la stampa liberal di New York, di Washington, di Los Angeles li trattava da rozzi e grossolani manifestanti loro si rafforzavano, si organizzavano, si strutturavano». De Bellis punta il riflettore su Marco Rubio: «Il giovane ispanico che oggi si prenderà un seggio al Senato per la Florida è un prodotto dei Tea Party, ma che in questi mesi ha dimostrato di sapere parlare, oltre che urlare. Come lui ce ne sono tanti». Insomma: «I Tea party sono la risposta partigiana e incompleta a un sentimento di ribellione popolare che si traduce in un dato che troppi hanno sotto valutato: una settimana fa il 60% degli elettori ha dichiarato di volere votare per candidati alternativi rispetto a quelli uscenti. I tea party erano pronti intercettare questo disamore, proponendo una ricetta semplice e facilmente comprensibile dall’America: basta con l’establishment che ti dà la pacca sulla spalla».
IL MANIFESTO apre su Berlusconi e prevede solo un richiamo in prima pagina «Medio termine, Obama alla prova della crisi economica» che rinvia alle due pagine interne (la 2 e la 3) dedicate al voto di Midterm negli Usa che si aprono con il titolo «Il ghetto è stanco». «I democratici rischiano di perdere il seggio di South side, il quartiere malfamato di Chicago dove Obama lavorò come assistente sociale, quello che solo due anni fa si mobilitò per far eleggere il suo presidente. Ora i neri sono delusi e in tanti si astengono» si legge nel sommario dell’articolo dell’inviato Marco d’Eramo che osserva: «Le elezioni passano, le chiese restano. Due anni fa, per le presidenziali, ero alla chiesa evangelica del Cristo Unito, una casetta unifamiliare dai muri screpolati: solo la bandierina a stelle e strisce piantata in un vaso senza fiori ti diceva che questo era uno dei seggi elettorali nevralgici del sud della città. Quest’anno sono a qualche strada di distanza, davanti a un’altra casetta, la South Shore Bible Baptist Church. (…) Da noi sono le scuole a ospitare le urne, qui, nel South Side, sono le chiese. (…) In Italia non vediamo quanto pesano le chiese nella vita dei neri americani» e prosegue: «(…) Nel 2008, con una mobilitazione straordinaria, Obama era riuscito a smuovere l’apatia elettorale dei neri, giovani e anziani. Quest’anno, per difendere il loro presidente sotto attacco, i neri continueranno ad andare alle urne, ma meno di due anni fa». D’Eramo conclude: «Ironia della sorte: il 20% degli statunitensi è convinto che Obama sia musulmano (forse perché il suo secondo nome è Hussein) e qui, nel cuore del South Side, siamo a pochi isolati dalla Grande Moschea della Nation of Islam, la San Pietro dei Musulmani neri, di quei neri che – come Malcolm X – si convertirono per davvero all’islamismo per sfuggire alla tirannia della religione dei loro oppressori bianchi».
“Tornano le due Americhe” è il titolo di apertura de IL SOLE 24 ORE in prima. Servizi e commenti nelle prime sei pagine del giornale. A pagina 6 una serie di opinioni di analisti a confronto. La sintesi “Obama entra in un’altra era: fatti concreti per ripartire – È un presidente che ha dato peso eccessivo alla politica e si è curato poco di economia». Marta Dassù, dell’Aspen Institute: «I precedenti dicono cose opposte: Truman si spostò più a sinistra, Clinton guardò al centro. Obama vorrebbe guardare al centro, probabilmente: nella campagna presidenziale, aveva promesso di unire il paese, non di dividerlo. Ma è difficile che l’opposizione repubblicana, pungolata dal “Tea Party”, lo assecondi: malgré soi, Obama potrebbe essere un nuovo Truman». Roberto Perotti (Bocconi): «l destino dei democratici è legato all’andamento dell’economia: se non ci saranno segnali di ripresa, non s’identificheranno più con Obama. Nei primi due anni di mandato il presidente non ha commesso errori gravi; è il clima mondiale ad avergli tolto forza e seguito. Anche Reagan, nel 1982, subì un contraccolpo alle elezioni di Midterm ma poi l’economia rialzò il capo e il presidente riuscì a farsi rieleggere nel 1984 (ma Reagan era un presidente comunicativo). Se in America i consumi resteranno piatti e l’occupazione non scenderà sotto l’attuale 10%, il destino di Obama è segnato: oggi non esiste una bacchetta magica che con due-tre azioni possa risollevare gli Usa».
AVVENIRE parla di “ora della verità” per Obama nel richiamo in prima pagina sulle elezioni di Midterm, analizzate a pagina 4. Elevata l’affluenza alle urne grazie al lavoro di un esercito di volontari democratici e repubblicani: “Get to the vote” (Tira fuori il voto) che hanno mandato in tilt le centraline dei telefoni. I due partiti hanno speso decine di milioni di dollari per chiamare gli elettori e per accompagnare anziani e malati ai seggi. Obama ha fatto sentire la sua voce in interviste radio in Illinois, California, Nevada e Florida ed è partito all’attacco facendo anche un appello ai giovani «a ritrovare l’entusiasmo». Poi ha affondato: «Ho bisogno di persone in Congresso che siano disposte a cooperare con me per il bene della nazione. Ma non ne vedo tra i repubblicani. La loro intera agenda è quella di utilizzare i prossimi due anni per distruggermi, opponendosi a ogni tentativo di far andare avanti il Paese». Se la sconfitta è data per scontata, il presidente Obama non sembra intenzionato a tendere la mano alla nuova maggioranza alla Camera. Nessuna concessione ma solo confronto aperto con i “nemici”, come aveva chiamato i repubblicani qualche ora prima, scusandosi poi per il lapsus ma attirandosi le feroci critiche dell’uomo forte dei conservatori, il deputato dell’Ohio John Boehner che se i sondaggi saranno confermati diventerà da oggi il nuovo speaker della Camera al posto di Nancy Pelosi. Ieri il quotidiano conservatore New York Post è uscito con il titolo “Yes you can” (ripudiare Obama) e l’animosità contro di lui sembra aver contagiato i suoi stessi elettori. Stando ai sondaggi, il 47 per cento dei democratici mette Hillary Clinton in testa alla preferenze. A fare da ago della bilancia nelle elezioni di ieri ci sono Stati come Ohio, Nord Dakota, Wisconsin e Arkansas, in bilico dopo le prime proiezioni. AVVENIRE dedica infine il taglio basso della pagina alle promesse elettorali che rischiano di ripartire in salita, dalla politica interna (economia, energia, riforma sanitaria, immigrazione, gay in divisa, Guantanamo) agli scenari dello scacchiere internazionale (Iraq e Afghanistan, Medio Oriente). L’economia per esempio è stato il cavallo di battaglia dei repubblicani. Obama senza affossare ulteriormente il bilancio federale riuscendo nello stesso tempo a far cadere il tasso di disoccupazione. Con i repubblicani più forti al Congresso diventa difficile mantenere le riduzioni fiscali solo per la casse media tassando solo chi guadagna più di 200 mila dollari l’anno.
LA STAMPA apre in prima, taglio centrale, con le elezioni Usa. “Obama perde la Camera. Senato in bilico”. Maurizio Molinari, firma “Ora sarà costretto a scelta bipartisan” in cui sottolinea come il presidente debba cambiare strategia dopo l’esito delle urne «la strategia è quella della “cooperazione” – come lo stesso Obama ha anticipato in una raffica di interviste radiofoniche – e il terreno dal quale vuole iniziare è l’economia, raggiungendo un compromesso sul rinnovo degli tagli fiscali varati da George W. Bush e sul mantenimento dei livelli di spesa pubblica per sostenere gli investimenti nelle grandi infrastrutture. Sin dalla campagna del 2008 Obama parla di “accordi necessari fra avversari”, richiamandosi all’esempio del presidente repubblicano Abramo Lincoln, e dopo il voto di Midterm rilancia questa scelta, includendo nel carnet delle intese possibili nel breve termine la riforma dell’immigrazione – sul modello della proposta di legge scritta dal democratico Chuck Schumer e dal repubblicano Lindsay Graham – la ratifica al Senato dell’accordo sul disarmo strategico firmato con la Russia e una linea d’azione più rigida nei confronti della Cina per imporle di rispettare le regole della concorrenza sul mercato globale, a cominciare dalla quotazione dello yuan». Ma ha delle difficoltà. «Per avere sostanza l’agenda bipartisan ha bisogno del sostegno dei repubblicani di John Boehner che hanno annunciato sempre per questa mattina la loro contromossa con l’immediata presentazione di iniziative legislative tese a smantellare la politica economica del primo biennio di Obama: riduzione della spesa pubblica di 100 miliardi di dollari, tagli fiscali di Bush trasformati da temporanei a permanenti per ogni classe di reddito, blocco di programmi e finanziamenti necessari per realizzare la riforma della Sanità punto d’orgoglio dall’amministrazione democratica». Da qui nascono le difficoltà del presidente che inoltre dovrà fare i conti con le nuove nomine della sua squadra di collaboratori «a conti fatti il presidente ha solo tre fedelissimi attorno ai quali ricostruire l’intera squadra: il portavoce Robert Gibbs, il consigliere Valerie Jarrett e il capo di gabinetto Pete Rouse. Alcuni leader del partito democratico premono per fare entrare nello staff della West Wing personaggi meno obamiani e più pragmatici. E Barack dovrà riuscire a trovare in fretta delle risposte anche su questo delicato fronte interno».
All’interno Marco Bardazzi racconta come è nata questa batosta elettorale. “Tre casalinghe arrabbiate dietro il boom del Tea Party”. «Le rivoluzioni nascono nei modi più strani. Quella che ha appena cambiato lo scenario politico della più potente nazione sulla faccia della Terra, è nata meno di due anni fa nel tinello di un paio di case alla periferia di Atlanta. Protagoniste: un’ex assistente di volo della Delta che aveva lasciato il lavoro per dedicarsi alla figlia, e una casalinga costretta a fare pulizie a domicilio per aiutare il marito sull’orlo della bancarotta. Amy Kremer e Jenny Beth Martin, 39 e 40 anni, sono le vere vincitrici delle elezioni di Midterm. Il movimento del Tea Party, che ha dominato nel bene e nel male il voto per il Congresso, è in buona parte una loro creatura. Amy e Jenny Beth sono attualmente alla guida rispettivamente del «Tea Party Express» e dei «Tea Party Patriots», le due anime dell’organizzazione che danno già segni di convivere a fatica e potrebbero prendere strade diverse». Un fenomeno che è risultato evidente però solo a elezioni avvenute «Washington lo ha compreso in pieno per la prima volta la notte scorsa, quando celebrazioni della vittoria e riconoscimenti della sconfitta non sono avvenuti come sempre solo in due quartieri generali (democratici da una parte, repubblicani dall’altra), ma in tre».
E inoltre sui giornali di oggi:
BERLUSCONI
IL MANIFESTO – L’apertura del MANIFESTO è ancora una volta dedicata al capo del governo con un titolo a tutta pagina «Ultimo fango» posto subito sotto la testata e sopra una foto di Berlusconi. «Ridicolo, volgare, imbarazzante. L’uomo che ama le donne (escort e minorenni) attacca gli omosessuali (“meglio guardare le ragazze che essere gay”) e le sue parole fanno il giro del mondo. Poi Berlusconi se la prende con i giornali (le tv non lo disturbano), e prova a superare la tensione con la Lega chiedendo un giuramento di fedeltà ai suoi. Fini rinvia a domenica la scelta se staccare la spina. Bersani avverte che “siamo in piena regressione culturale”, ma esclude le elezioni e rilancia un governo tecnico, non solo per la legge elettorale» si legge nel riassunto che rinvia alle due pagine (la 4 e la 5) dedicate all’ultima esternazione di Berlusconi e alla situazione politica e intitolata «Una battuta da arresto» con in apertura la foto di due giovani abbracciati che indossano una maglietta con la scritta “Meglio frocio che fascista”. Accanto agli articoli di analisi politica il commento dal titolo «Un maschio con tacchi e cerone» dove si legge: «C’è qualcosa che non convince nel pervicace esibizionismo omofobico di Silvio Berlusconi, l’uomo che tanto sa dell’arte del fare ma che assai poco conosce quella del dire. Perché una cosa è liquidare come “comunisti” giudici e giornalisti (questa è una valutazione politica e non un insulto) un’altra è dare del gay non all’avversario politico (…).Pensate che tristezza quei festini ad Arcore, con re Silvio assiso sul trono dorato e costretto a ripetersi sino alla noia che lui no, non è gay, che può avere tutte le donne che vuole, che le può corteggiare, scoprire e rivestire, salvare. Povero Silvio, destinato a interpretare per tutta la vita lo stesso ruolo di “maschio felix” e perciò stesso imbarazzato dai suoi stessi tacchi e dal cerone che ogni tanto gli cola sul viso». L’analisi (annunciata in prima pagina) è affidata a Valentino Parlato che, nell’articolo intitolato «Un 25 luglio. E dopo?» scrive: «(…) Il punto di differenza è che Mussolini fu scaricato dal suo Gran Consiglio, che ormai era conscio della sconfitta e della svolta del re (Mussolini uscito da Villa Savoia fu arrestato). Il grande punto di differenza sta nel fatto che dopo il 25 luglio venne il 25 aprile (stava maturando) mentre oggi è difficile prevedere un prossimo 25 aprile. Il rischio è quello di avere un 25 luglio senza un 25 aprile (…)».
YUNUS
CORRIERE DELLA SERA – “Yunus banchiere dei poveri: «In Italia? Non posso aprire»”. Bella intervista di Francesca Basso al premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, inventore del microcredito. Impegnato in questi giorni a portare avanti un progetto con Unicredit Foundation e con l’Università di Bologna per creare un’intermediaria finanziaria. Un esempio di quel social business di cui Yunus si è fatto promotore in tutto il mondo. Ma in Italia non è riuscito ad aprire una filiale di “Grameen Bank”. Perché? “Ci piacerebbe aprire qui una banca ma la legge italiana è talmente complicata, servono molti soldi. Abbiamo rinunciato”. E’ possibile conciliare etica e profitto? “Alla fine non è possibile – risponde Yunus – ma possiamo limitare il profitto quando si tratta di povera gente. E’ facile sfruttare la situazione. Certe persone iniziano con una motivazione etica ma poi cambiano direzione. Per questo proponiamo il social business. Perché se dici che vuoi guadagnare un po’ allora devi quantificare quel poco e questo è il problema. Ma quando affermi che non cerchi il profitto questo è chiaro. Insomma, bisogna cambiare il modo di pensare”.
MALTEMPO
IL MANIFESTO – All’ondata di maltempo che ha colpito il Nordest IL MANIFESTO dedica un articolo a pagina 6 «Nel Veneto sott’acqua affonda il modello leghista» e il commento di Gianfranco Bettin (pagina 10). Sempre a pagina 6 un colonnino racconta come «Da nord a sud l’Italia nel fango Protezione civile inesistente» che si chiude osservando come: «Se l’Italia frana ed è invasa dal fango dei fiumi e dei canali esondati è colpa della cattiva gestione del territorio. In particolare, spiega il Cirf, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, è sui fiumi che si “interviene troppo e male”. “Va invece – spiega il Cirf- recuperato il concetto originario di Protezione civile, spesso travisato e dimenticato: le 3P di Prevedere Prevenire Proteggere, mentre ora ci si preoccupa principalmente dell’intervento in emergenza, a cui vengono destinati, spesso bypassando la pianificazione territoriale, anche buona parte dei fondi che venivano utilizzati per la manutenzione ordinaria e la riduzione della vulnerabilita”».
BENI CONFISCATI
IL SOLE 24 ORE – «Per arrivare alla confisca definitiva dei beni mafiosi ci vogliono tra i 7 e i 10 anni. Un percorso tortuoso, che nella maggior parte dei casi non produce gli effetti sperati: una fetta importante del patrimonio sottratto alla criminalità organizzata rimane “incagliato” all’agenzia del Demanio, perché impossibile da collocare altrimenti, e anche escludendo questi casi il 52,6% dei beni confiscati resta parcheggiato senza incontrare un utilizzo concreto. A lanciare l’allarme è la Corte dei conti, che nella relazione sulla gestione delle confische alla mafia (è la delibera 23/2010/G, diffusa ieri (…) A invertire questa tendenza è chiamata la nuova agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, che è stata istituita a marzo (legge 50/2010) e sta muovendo i primi passi. Il giudizio della Corte sull’agenzia è positivo, soprattutto perché la riunione sotto un unico organismo delle funzioni di amministrazione e di gestione dei beni “fa ben sperare sulla notevole riduzione dei tempi” delle procedure. Questa speranza, però, rischia di scontrarsi su un limite concreto: le 30 persone arruolate dall’agenzia, anche se ricche delle competenze fissate dalla nuova legge, sono troppo poche per sobbarcarsi “la complessa gestione e destinazione” dei beni confiscati».
CRISTIANI
LA REPUBBLICA – L’inchiesta di R2 è dedicata a “I nuovi martiri cristiani”. «Il mondo sta diventando un campo di battaglia pieno di croci», scrive Marco Ansaldo, «Le chiese bruciano. Ovunque». In tutto il mondo sono decine di migliaia i cattolici perseguitati per il loro credo. Le ultime frontiere, oltre al Pakistan, all’Afghanistan e al Kashmir, sono l’Indonesia, il Sudan, Cuba e la Corea del Nord. «Cifre precise è difficile darne» spiega padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News. È però il mondo musulmano e il Medio Oriente la regione dove il numero di agguati contro le minoranze cristiane risulta più alto. Nella mappa dell’intolleranza più di 40 Paesi. Benedetto XVI «nei suoi appelli continua a sottolineare la rilevanza del martirio nella Chiesa». In appoggio, Anthony Shadid, in “Questo massacro è un colpo al cuore dell’Iraq intollerante”, descrive il dolore cristiano dopo l’attacco di Al Qaeda alla chiesa cattolica di Bagdad (che ha provocato la morte di 55 persone).
AVVENIRE – “Strage senza tregua”: anche oggi AVVENIRE apre sull’Iraq dove ieri è stata un’altra giornata di sangue. Dopo il dolore dei cristiani, quello degli sciiti: 60 morti. “Vogliono minare la fiducia e la convivenza civile” ha scritto Benedetto XVI in un messaggio, mentre le prime indagini hanno aperto dubbi su un intreccio di responsabilità poco chiare e il ministro della sicurezza iracheno ha svelato che è stato ignorato un allarme attentati nelle chiese lanciato. Arrivano inoltre le condanne dei Fratelli musulmani egiziani e dell’ayatollah Sistani, guida spirituale degli sciiti iracheni, secondo cui gli attentati sono “un crimine anche contro l’islam”. E in Egitto sono state rafforzate le misure di sicurezza attorno alle chiese copte dopo le minacce di al-Qaeda.
DISABILI
ITALIA OGGI – Titola il quotidiano giallo a pag 30: “Stretta sull’assistenza ai disabili”: Stop alla convivenza con il familiare disabile quale condizione per il diritto ai tre giorni di permesso mensili dal lavoro. Permesso che tuttavia va riconosciuto ai dipendenti parenti o affini del disabile entro il secondo e non più il terzo grado (terzo grado che rimane valido in cui il genitore o il coniuge abbia compiuto i 65 anni, o siano affetti da patologie invalidanti o ancora siano deceduti). Sono queste le novità contenute dal collegato al lavoro attualmente alla registrazione presso la corte dei conti, prima della pubblicazione in GU.
LA REPUBBLICA – Nelle pagine romane, si riferisce dell’incursione di casa di Antonio Guidi, ex ministro e delegato del sindaco. Qualcuno è entrato in casa sua, non ha rubato niente ma ha lasciato un chiaro messaggio: possiamo entrare quando vogliamo. Questo avviene dopo le minacce che Guidi ha ricevuto a causa del suo impegno contro le barriere architettoniche, la sosta selvaggia e gli ambulanti che ostacolano gli spazi di passaggio per le carrozzine.
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