Formazione

Taverna (Exodus): «Gli educatori non sono tappabuchi»

«La figura dell’educatore», spiega Franco Taverna, segretario generale di Fondazione Exodus, «non dovrà più essere marginale ma pienamente riconosciuta e sostenuta con fondi pubblici. La maturazione delle ragazze e dei ragazzi non può più essere legata solo all’acquisizione di conoscenze e competenze. Ma si gioca anche su un piano valoriale e questo aspetto è di pertinenza dell’educazione. Durante i mesi del lockdown l’approccio educativo si è dimostrato infatti fondamentale»

di Anna Spena

Il numero di Vita in edicola "Prima i ragazzi" è tutto dedicato ai minori, 10 milioni di cittadini italiani che negli ultimi mesi sono stati invisibili. Una dimenticanza che ha inciso su chi viveva una situazione familiare stabile, e che ha aumentato ancora di più il divario con tutti quei bambini e ragazzi che vivevano in una condizione di povertà educativa, accentuandola. Da questi mesi di lockdown usciamo con una consapevolezza che impone una trasformazione anche al mondo della scuola affinché tutti possano godere degli stessi diritti. “Cara ministra Azzolina, la scuola ha bisogno delle agenzie educative del Terzo Settore”. Si potrebbe racchiudere in questa frase l’appello, a cui hanno aderito oltre cento tra scuole, associazioni, Fondazioni e cooperative, lanciato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi, al ministro dell’istruzione Lucia Azzolina, per iniziare a costruire le basi della scuola del futuro, lo abbiamo riportato in questo articolo. Ma da dove nasce questo bisogno e la necessità di questa nuova alleanza? Lo abbiamo chiesto a Franco Taverna, segretario generale di Fondazione Exodus e coordinatore nazionale del progetto don Milani2: Ragazzi Fuoriserie finanziato dall’impresa sociale con i bambini per contrastare la povertà educativa.

Perché avete deciso di lanciare questo appello?
Dobbiamo guardare ai ragazzi, dobbiamo farlo sempre. Perché la scuola è il laboratorio dove i ragazzi crescono. E qui, tutti i ragazzi che si trovano in una situazione di disagio scolastico e di povertà educativa hanno il diritto di essere aiutati e accompagnati. Ma ad oggi questo diritto non è garantito a tutti.

Come si può estendere questo diritto?
Solo se potremo avere nella scuola adulti che abbiano competenza nelle relazioni educative e, oggi direi, solo se saremo in grado di creare alleanze tra le agenzie educative del Terzo Settore e tutte le scuole del territorio. L’emergenza dettata dal Coronavirus ha portato alla luce i due binari che devono caratterizzare il percorso della locomotiva-scuola di domani: il binario della didattica e quello della relazione educativa.

Ma perché non avete formulato prima questa richiesta?
Questa evidenza del doppio binario c’era già prima ovviamente. Ma durante i mesi del lockdown il bisogno è esploso. E l’approccio educativo si è dimostrato fondamentale. L’idea stava già bollendo in pentola da un po’. Dopo diversi anni di progetti sviluppati sul territorio, soprattutto grazie al supporto dell’Impresa Sociale con i Bambini, ci siamo resi conto che dal basso si è creata una vera rete che contrasta la povertà educativa. Quindi perché non riconoscerla e riconoscere il lavoro che fa? Prima del Covid19 questo pensiero come detto c’era già. Ma la differenza è che con la pandemia ad accorgersi del ruolo fondamentale degli educatori sono stati anche gli insegnanti, i genitori, ed è ora che ne prenda coscienza anche la scuola nella sua totalità. Se durante l’emergenza covid non ci fosse stato anche un approccio educativo, una possibilità di aggancio con modalità relazionali che non fanno solo riferimento alla didattica ordinaria, si sarebbero persi ancora più ragazze e ragazzi in difficoltà.

Che ruolo dovrebbe avere l’educatore nella “scuola che verrà”?
La figura dell’educatore non dovrà più essere marginale ma pienamente riconosciuta e sostenuta con fondi pubblici. Fino ad oggi alcuni educatori sono stati mandati nelle scuole con la funzione di “tappabuchi”. L’insegnante magari gli affida il “ragazzo difficile” per fargli ripetere le tabelline. Ma questa è una modalità svilente della funzione educativa. E noi qui in Italia paghiamo uno scotto altissimo dentro al panorama europeo. Stiamo pagando infatti una percezione del mondo educativo che deriva da una tradizione legata al mondo cattolico che vede l’educazione come qualcosa che, almeno per l’aspetto positivo, “fanno i preti insieme alle famiglie”. Non è ancora veramente riconosciuta una professionalità dell’educazione, come invece accade negli altri Paesi. In Italia c’è poi ancora il retaggio e la diffidenza verso l’educazione dei “Balilla” dove bisogna inquadrare i ragazzi e metterli in riga, vestirli alla stessa maniera. Tornando alla scuola. Noi crediamo che la maturazione delle ragazze e dei ragazzi non può più essere legata solo all’acquisizione di conoscenze e competenze. Ma si gioca anche su un piano valoriale, sul piano del senso, e questo aspetto è di pertinenza dell’educazione. Ci si domanda tanto in questi giorni su quale sarà il mondo dopo il Coronavirus, se ci sarà un cambiamento e quale sarà… ma queste domande non possono prescindere dal piano dei significati che vogliamo dare a ciò che facciamo e al nostro futuro. Bisogna educare i ragazzi alle scelte, non solo mettergli degli steccati. Bisogna educarli al rischio perché prima o poi i ragazzi lo incontreranno nella vita. Nella scuola del futuro educatori ed insegnati devono lavorare insieme per essere davvero incisivi, e lo strumento educativo della relazione starà alla base del percorso della crescita.

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