Cultura

TAV: Ma dove ferma questo treno?

Meglio perderlo, per ragionare con serietà e coscienza dei problemi sul futuro. Vita Magazine in edicola dal 2 dicembre continua ad occuparsi della discussa «grande opera»

di Giuseppe Frangi

Treno o non treno? La copertina di questo numero di Vita entra nel merito di una questione delicatissima ma insieme anche emblematica per capire verso quale futuro vogliamo portare il nostro paese. Vita non sale sulla Tav non certo per una posizione preconcetta o per un?ostinazione ?purista? (del resto in val di Susa, tra statali, autostrade e linee ferroviare, c?è poco da preservare). Non saliamo sulla Tav semplicemente perché quel treno non porta da nessuna parte.

Tutte le proiezioni parlano di un?opera faraonica ma pateticamente sproporzionata rispetto a una domanda in flessione (sulla Torino Lione nel 1997 sono passate 10,1 milioni di tonnellate di merce; nel 2004 erano ridotte a 8,5 milioni; dati riferiti dal Sole 24 ore).

Un?opera che sembra più che altro dettata dalla disperazione di dare un futuro a un territorio in declino: per prendere il finanziamento europeo bisogna iniziare a bucare la montagna prima del 31 dicembre. Quel gigantesco cantiere con ben 64 chilometri in galleria, garantirà lavoro per 15mila persone per molti anni. Tamponerà la crisi, aperta dal declino lento ma irreversibile della Fiat e del suo indotto. Ma poi? Poi che ci verranno a fare i treni in un territorio che presumibilmente sarà anche in piena flessione demografica? Ci verranno per portare turisti sulle rotte del cioccolato e del barolo, inventate dal nostro amico Carlin Petrini? Suvvia. La previsione più realistica è che Torino si trasformi in una stazione di sosta, sperando che ad Est, molto ad Est sorga qualche qualche territorio a forte attrazione e crescita, così da calamitare quei giganteschi treni che solcheranno l?Italia per il largo.

Non è far fantascienza: è proiettare sulla scala del futuro le conseguenze del vuoto di idee, di intelligenza e di visione che caratterizza, purtroppo, quasi tutta la classe dirigente di questo paese. Non c?è da sorprendersi se sulla Tav si siano trovati tutti allineati: la sinistra complessata e un po? depressa a braccetto con la destra concitata e dilettantesca. Tutti pronti a salire sul quel treno faraonico, senza neppure chiedersi dove porti. Tutti a rivendicare le logiche ineluttabili dello sviluppo, come se lo sviluppo fosse un dogma e come se quelle logiche non avessero già dato ampi segnali di stanchezza e di inadeguatezza.

Per questo è meglio non salire su quel treno. Meglio perderlo, per ragionare con serietà e coscienza dei problemi sul futuro. Meglio restare con chi sta indietro (i valligiani) che con chi corre avanti senza minimamente sapere dove stia andando.

Anche per questo la vicenda Tav è una vicenda emblematica al di là della partita in gioco. Tutta l?Italia si specchia in quella vicenda. Un paese in affanno; strattonato da processi di crescita caotici; imbruttito da tante scelte sbagliate che hanno messo sottosopra il territorio; imbrigliato da caste e corporazioni che, per garantirsi le rendite, bloccano ogni dinamismo sociale e costringono a scelte insensate. Solo se qualcuno ha il coraggio di mettersi di traverso, di proporsi come soggetto di disturbo, si creeranno spazio per pensare modelli diversi. Non è solo una retorica resistenza. È richiesta di uno spazio vitale per riprendere slancio e dare qualche chance al futuro. Per questo siamo No Tav.

  • L’alta velocità? Un binario morto.
    Vita Non Profit Magazine in edicola da venerdì 2 dicembre continua ad occuparsi dell’emergenza Val di Susa: dai costi preventivi ai rapporti con la Ue, il massimo esperto del Wwf spiega cosa non va nella discussa «grande opera»

  • Ancora fino a domani in edicola Vita Non Profit Magazine con dossier completo sul caso TAV.

    Leggi l’approfondimento sul Magazine on line:

  • Rimandiamo tutto a fine olimpiadi
  • O la Tav o i giochi
  • «Perdere la Tav è da irresponsabili»; parla il responsabile Lavori pubblici di Forza Italia
  • Ma gli svizzeri sono stati più furbi
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