Non profit

Tasse sul gioco: il Preu, anzi.. il payout della discordia

Aumentando del 5% il prelievo erariale unico su slot machines e videolotteries, il Governo Renzi punta a incassare 2 miliardi di euro. Il comparto è in subbuglio, si paventa il crollo di tutto il settore degli apparecchi da gioco, che da sé incide per il 55% sulle entrate erariali. Ma, oltre la polemica e la "ragion fiscale", c'è un dato più sottile da non sottovalutare: quello legato alle percentuali di vincita e alla necessità di riformare con leggi nuove e coerenti il settore

di Marco Dotti

La tentazione di Palazzo Chigi, titolava due giorni fa il Sole 24 ore. La tentazione di Palazzo Chigi è presto detta e non è più un segreto. Allo studio del Governo, infatti, c'è un provvedimento che porterebbe, secondo calcoli forse un po' esagerati e ottimisti, circa 2 miliardi di euro nelle casse dell'Erario.

Mentre tutti si chiedono come farà Matteo Renzi a sbrogliare la matassa della Legge di Stabilità, senza toccare gli sgravi fiscali e avviare i famigerati "tagli lineari", il Presidente del Consiglio prepara il jolly. Ma la partita è complessa e non sarà una passeggiata.

L'ALGEBRA DELLE TASSE

Il governo-Renzi ha accelerato sull'ipotesi di aumentare il prelievo fiscale (il cosiddetto Preu) sugli apparecchi da intrattenimento, slot machines ( Awp, il cui Preu è attualmente al 12,70%) e videolotteries (Vlt, con tassazione al 5%).  

Con un aumento del 5%, specifica oggi il quotidiano Europa, in un articolo a firma di Francesco Lo Sardo ("Slot machine story: stangata in arrivo nella saga delle intoccabili Spa del gioco"), si potrebbero in linea teorica incassare 1,2 miliardi di euro dalle slot machines e 1,1 dalle Vlt.

In linea teorica, appunto. Perché le cose, nel concreto, sono sempre più complesse. Soprattutto a causa della normativa stratificata e a nostro avviso incoerente che regola il settore dell'azzardo legale in Italia. Il provvedimento va certo nella direzione che più volte abbiamo auspicato su queste pagine, ma non deve oscurare una necessità – chiamiamola così –  sistemica.  

Così  com'è congegnato, questo sistema non regge. Non regge per eccesso di offerta, per esternalità, per negatività scaricate specialmente sul giocatore.

Non regge nemmeno per eccesso di componenti off-shore: ultimo caso -e davero eclatante – quello di Gtech-Lottomatica che ha di fatto "esportato" le proprie sedi nel Regno Unito, dove verserà le sue tasse, pur continuando a essere concessionario dello Stato italiano.

Riuscirà davvero il governo a recuperare i 2 miliardi che spera con questo provvedimento? 

CHI VINCE PERDE?

Partiamo da un dato di realtà (è ancora il quotidiano di Confindustria a segnalarlo): "il settore degli apparecchi da intrattenimento, da solo incide per oltre il 55% sia sulla raccolta complessiva sia sulle entrate dello Stato, nel primo semestre ha subito già una contrazione di quasi il 5% (al 30 giugno la raccolta segnava -4,87% e le entrate erariale -4,1%) attestandosi a 23,1 miliardi contro i 24,3 raccolti nel 2013 e i 24,7 giocati dagli italiani nel 2012".

In sostanza, dietro questi dati si cela una piccola – ma controintuitiva – verità: in sei mesi lo Stato ha avuto un minore incasso da slot machines e Vlt di oltre il 92,7%.  

Ma c'è un'altro punto da considerare. Stavolta a segnalarlo è Assointrattenimento.Per aumentare il Prelievo Erariale Unico,  segnala l'avvocato Massimo Pucci, vicepresidente di Confindustria Gioco, bisognerebbe  cambiare il payout (in sostanza: la percentuale di vincita). Senza questo bilanciamento, il sistema non reggerebbe. 

Ma anche operando una modifica del payout, potrebbe verificarsi un crollo radicale della raccolta (= base imponibile), in conseguenza della "minore appetibilità" del congegno elettronico rispetto a altre offerte di gioco (magari online). Questa "migrazione" spaventa non poco gli operatori del settore e, di fatto, spaventa anche molti tecnici del ministero. Ma alla base delle scelte in questo ambito non possono esserci unicamente ragioni fiscali o di cassa. Deve esserci una visione politica forte, quella che gli americani chiamano politics opponendola alla mera gestione burocratica del fenomeno (policy). 

TECNICA O POLITICA?

Ci sono poi, ovviamente, una serie di questioni tecniche sottolineate legate al cambio delle schede che, secondo i dati di Assointrattenimento, comporterebbero da 6 a 18 mesi, ben più quindi dei tempi tecno-giuridici dettati dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto. 

Ciò che ci preme qui sottolineare è che, al netto (opinione nostra) della necessità di tassare seriamente il settore nel suo insieme, si tratta di una preoccupazione reale che travalica l'economia algebrica.

Se bisogna far cassa, bisogna tener conto anche della possibilità che, una volta arrivati alla diligenza, la diligenza si trovi vuota e dichiari default. Tutto è possibile.  Meglio tenerne conto fin d'ora. 

La "questione azzardo" non è meramente tecnica o fiscale, ma prima di tutto politica. Va risolto questo nodo di fondo eo in queste contraddizioni dobbiamo affondata la lama della ragione, non solo la lunga mano spesso irragionevole dell'Erario, o queste contraddizioni continueranno anno dopo anno a ripresentarsi, sotto forma di buone intenzioni e di pessime norme. Speriamo che il jolly del Governo sia, finalmente, una riforma coerente e concreta del settore. E che arrivi presto.

 

@oilforbook

 

 

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