A quanto ammonterà l’introito che lo Stato riuscirà ad ottenere dall’imposta del 2% sulle rimesse? Zero euro. La prima ragione è lampante: il migrante privo di matricola Inps e codice fiscale, che evidentemente lavora in nero, non ricorre all’utilizzo dei canali formali (banche, poste e money transfer) per spedire i propri risparmi al Paese di origine ma si avvarrà dei circuiti informali (parenti, amici, banchieri di strada). Si stima che le rimesse informali siano state nel 2010 più di quelle formali che, lo scorso anno, raggiunsero 6,4 miliardi di euro.
La seconda ragione è che ai money transfer, così come alle banche, possono rivolgersi solamente migranti regolari. Infatti già dal 2009, nell’ambito del “pacchetto Sicurezza”, lo stesso governo introdusse la norma secondo la quale il gestore del money transfer deve acquisire e conservare copia del permesso di soggiorno del cliente migrante. La terza ragione: le somme di denaro destinate nei Paesi UE non sono soggette all’imposta in questione e la sola Romania è stata interessata nel 2010 da rimesse per 850 milioni di euro.
Tutto questo è così vero che gli stessi tecnici che hanno presentato tale norma non sono stati in grado di quantificare la stima prevista sul gettito derivante dall’imposta. Peccato che il governo italiano al G8 dell’Aquila si era fatto sostenitore del progetto “5×5” in base al quale, in cinque anni, si doveva ridimensionare drasticamente il costo delle rimesse per non distogliere risorse destinate ad essere impiegate nei Paesi di destinazione.
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