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Tareke Brhane, dalla morte scampata in mare alla cittadinanza italiana

Intervista al 32enne di origini eritree, attuale presidente del Comitato 3 ottobre, premiato dal Summit dei Nobel per la pace. Fresco neoitaliano, dopo l'arrivo sofferto in Italia ha lavorato prima nei campi poi nella mediazione culturale e linguistica proprio nei punti di sbarco dei migranti

di Daniele Biella

Nel 2014 aveva vinto la medaglia per l’attivismo sociale al Summit dei Premi Nobel per la Pace. Ma Tareke Brhane, 32 anni, di origini eritree ma in Italia dal 2005 e oggi sposato con una donna italiana e padre di due bambini piccoli, ha da poco raggiunto un traguardo ancora più importante solo pochi giorni fa: la cittadinanza italiana. Non perché superiore in lignaggio alla medaglia dei Nobel, ma perché è riuscito a ottenere quello che è negato ad altre centinaia di migliaia di stranieri da decenni in Italia – oppure addirittura nati qui da genitori extracomunitari – la certificazione di essere cittadino ai sensi dello Stato italiano. Non che ci fosse pericolo di espulsione: Brhane è un rifugiato politico, scappato dalla coscrizione obbligatoria nella tumultuosa terra d’Eritrea. Ma come tale, non aveva le libertà di movimento che, invece, la cittadinanza gli garantisce dallo scorso 30 aprile, giorno della cerimonia ufficiale a Roma, dove vive con la famiglia.

La sua è una storia simbolica, e nello stesso momento peculiare perché impregnata di attivismo per i diritti umani delle persone migranti, soprattutto quelle obbligate al viaggio disumano in barca nel Mar Mediterraneo. “Viaggio che ho compiuto io stesso, nel quale sono stato prima respinto, poi incarcerato a Malta, prima di raggiungere finalmente l’Italia”. Poco dopo l’arrivo, mentre la sua domanda di asilo veniva vagliata, ha lavorato per un anno in condizioni estreme come lavapiatti negli alberghi e ha raccolto ortaggi nelle campagne agrigentine. Nel 2007 la svolta: “L’ong Medici senza frontiere mi ha chiesto di fare il mediatore culturale sia durante gli sbarchi al porto, sia tra chi raccoglieva pomodori e patate, supportando l’equipe medica”. L’anno dopo, un’altra ong, Save the children, gli ha chiesto di collaborare al progetto Praesidium, nell’assistenza ai minori sbarcati, “lavoro che ho svolto dal 2008 al 2012”.

Trasferitosi a Roma nell’occasione della nascita della prima figlia, ha continuato a lavorare nel sociale  e nella mediazione (in cui è impiegato anche oggi) arrivando a un punto di svolta, suo malgrado, dopo la tremenda strade del 30 ottobre 2013 in cui hanno perso la vita 368 migranti, tra cui molti suoi connazionali. “Assieme ad altri volontari ho fondato il Comitato 3 ottobre, che da allora esercita pressione sulle autorità per migliorare le leggi vigenti sull’accoglienza”, spiega Brhane, l'11 eil 12 maggio a Lisbona dove interviene al secondo Summit dei Presidenti dei parlamenti dei Paesi dell'Unione per il Mediterraneo. “La situazione attuale è molto triste, perché l’Unione europea potrebbe fare di più ma manca una proposta forte e condivisa, in particolare tra gli Stati di approdo dei migranti come Italia, Spagna, Grecia e Malta, che potrebbero allearsi per rivendicare azioni più incisive per evitare altre tragedie ma che invece ragionano ognuno per proprio conto”, specifica l’attivista italo-eritreo.

Per Brhane la cittadinanza italiana è una tappa fondamentale di un percorso obbligato che è stato difficile ma che lo sarà ancora: “da sempre ho dovuto giustificare il fatto di essere qui in Italia, e nonostante la cittadinanza lo dovrò fare ancora, perché a me come a tanti altri stranieri vengono rivolti sguardi interrogativi da buona parte degli italiani”, ricordando la sofferta fuga alla madrepatria, i soprusi ricevuti durante il viaggio della speranza. Più che sollevato per l’acquisizione dei diritti di cittadino, non perde di vista la situazione di molte persone venute da lontano: “Per quanto mi riguarda, l’iter della cittadinanza ha rispettato i tempi in vigore, ma penso a tanti che da anni non riescono ad ottenerla per pochissimi requisiti mancanti e per il fatto che a livello politici manchi ancora una legge in merito attesa da molto tempo”, aggiunge Brhane. In occasione di tante delle ultime elezioni erano state fatte promesse di presa in carico della legge sulla cittadinanza, ma “nessun Governo, compreso quello attuale, ha dimostrato di crederci per davvero: i politici non ne parlano perché si fanno vincere dalla paura di perdere il posto”. Questo nonostante le decine di migliaia di persone nel limbo sarebbero un ottimo bacino di nuovi elettori per buona parte delle formazioni politiche.

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