Politica
Taranto. Chiude l’industria siderurgica più grande d’Italia
L'Ilva di Taranto annuncia il blocco delle cockerie e chiude i battenti: causa, i provvedimenti della Procura in difesa dell'ambiente
Lo spettro della dismissione arriva anche sui cieli più inquinati d’Italia, quelli dell’Ilva di Taranto. La più grande azienda siderurgica del Mezzogiorno ha infatti annunciato la chiusura delle cokerie ed il blocco degli investimenti di circa 500 milioni di euro previsti per il triennio 2002-2005. La decisione, comunicata ai vertici nazionali e locali di Cgil-Fiom, Cisl-Fim, e Uilm, giunge -paradossolmente – proprio il giorno dopo il richiamo del presidente della Repubblica Ciampi, che aveva invitato le aziende ad investire nel Sud.
Ad essere interessate al provvedimento sono le quattro principali cokerie dello stabilimento tarantino, che dovrebbero essere disattivate, come si legge in una nota, “nei tempi necessari richiesti dal regime di sicurezza”. A seguito dello stop imposto al cuore dello stabilimento, nei prossimi giorni sarà disposta “la fermata di altri impianti e la conseguente riduzione della produzione complessiva dello stabilimento”. Ai sindacati, i vertici del Gruppo Riva hanno ricordato che un’ordinanza dell’amministrazione comunale aveva già chiesto in passato la sospensione dell’esercizio dei forni a coke. La Procura della Repubblica di Taranto ne aveva invece disposto il sequestro a seguito di segnalazioni presentate a più riprese dagli ambientalisti. Successivamente, la magistratura aveva chiesto un’attenuazione progressiva dell’attività industriale nei settori ritenuti più a rischio. Ma su questo punto non si è trovato accordo. I tempi della riduzione della produzione inizialmente erano stati contenuti entro un tetto massimo di 18 ore. La magistratura aveva chiesto di arrivare almeno a quota 27, ma per l’Ilva non si poteva andare oltre il taglio di 24 ore complessive. Ed ha così deciso di chiudere.
“L’azienda – spiega la dirigenza – ha preso atto delle decisioni della magistratura, ma ritiene che tali procedure siano incompatibili con il soddisfacente funzionamento delle cokerie, tale da fornire materiale di qualità idoneo alla produzione dei prodotti finiti, né intende venir meno agli standard qualitativi che le hanno consentito il raggiungimento degli importanti risultati conseguiti sui mercati di tutto il mondo”. Ma il giro di vite deciso dal Gruppo Riva si estende anche alla propria politica di investimenti. L’azienda, prosegue la nota, è costretta “a rivedere le linee strategiche di crescita del gruppo, fino ad ora centrate in gran parte sullo stabilimento di Taranto che è stato oggetto di interventi di miglioramento ambientale e sviluppo industriale per oltre un miliardo di euro negli ultimi cinque anni”. Sarà quindi annullato il piano degli investimenti che “prevedeva un impegno finanziario, al netto degli interventi ecologici, di circa 500 milioni di euro per il triennio 2002-2005”.
Si fa molto preoccupante, a questo punto, la situazione degli oltre 12 mila operai in servizio in uno dei più vasti distretti siderurgici di Europa. Ai sindacalisti i vertici del Gruppo Riva hanno illustrato gli interventi previsti sul piano occupazionale: escluso il ricorso alla mobilità, avvieranno da subito, in modo progressivo, il blocco del turn-over. In vista c’è “una significativa riduzione dei contratti cosiddetti non stabili», ovvero di formazione-lavoro e a tempo determinato. Circa 6.500 in tutto lo stabilimento.
Ricordiamo infine che l’Ilva di Taranto divenne famosa anche per il primo caso verificatosi in Italia di “mobbing” (o meglio, “bossing”) a danno non di semplici dipendenti, ma quadri e alti dirigenti dell’azienda, costretti dall’Ilva a passare quasi un anno rinchiusi in una palazzina, la palazzina Laf, dove non facevano nulla e gli erano preclusi anche i diritti più elementari al fine di ottenerne le dimissioni. Il caso, che interessò oltre 100 uomini dell’Ilva, venne studiato dalla Asl di Taranto e poi finì sul tavolo della Procura della Repubblica, cui molti dei soggetti sottoposti a mobbing fecero ricorso. Il processo, in corso da circa un anno, non si è ancora concluso.
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