Famiglia

Tanto rumore per culla

Il portavoce di Fondazione Arché, Paolo Dell’Oca, interviene nel clamore mediatico provocato dalla vicenda del neonato affidato al Policlinico di Milano. «C’è un intero settore di organizzazioni che professionalmente si occupa di genitorialità in situazioni di fragilità: è il Terzo Settore che, quantomeno in queste circostanze, dovrebbe essere il primo»

di Paolo Dell’Oca e portavoce di Fondazione Arché

Il portavoce di Fondazione Arché, Paolo Dell’Oca, interviene nel clamore mediatico provocato dalla vicenda del neonato affidato al Policlinico di Milano. Fondazione Arché Nata a Milano nel 1991 su iniziativa di padre Giuseppe Bettoni per rispondere all’emergenza dell’HIV pediatrico, oggi accompagna a Milano, Roma e San Benedetto del Tronto, i bambini e le famiglie vulnerabili nella costruzione dell’autonomia sociale, abitativa e lavorativa offrendo servizi di supporto e cura. Nelle proprie comunità accoglie mamme e bambini con problematiche legate a maltrattamenti, immigrazione, disagio sociale, e psichico e li aiutiamo a riprogettare un futuro migliore.

Ecco il testo del suo intervento:

«Sta facendo parlare, e lo farà ancora per qualche ora, il video appello di un conduttore televisivo ad una madre che ha lasciato il suo figlio appena nato alla cosiddetta “culla per la vita”, una struttura studiata per garantire sicurezza ai neonati e privacy alle madri in difficoltà che decidono di non crescere il bambino che hanno partorito.

Poche persone conoscono il diritto a servirsene e quasi nessuna vi ricorre. Nell’esperienza più che ventennale delle comunità educative mamma bambino di Fondazione Arché, le donne in stato di gravidanza con cui ne abbiam parlato non ne avrebbero mai fatto ricorso. “Piuttosto abortisco”. “Piuttosto me lo tengo”.

In quelle delicatissime settimane che precedono la scelta di mettere al mondo una persona pochi pensieri sono più distanti dal distaccarsene subito dopo il parto, anche se si sta attraversando un labirinto di difficoltà e sofferenze inimmaginabili ai più, talvolta il doloroso abbandono da parte del proprio compagno.

Perché la lettera scritta dalla madre al proprio figlio è arrivata alla stampa? Perché personaggi pubblici, professionisti dello spettacolo, ritengono opportuno prendere enfaticamente posizione su temi così complessi e intimi?

Oltre al rischio di gaffe, come svilire la genitorialità adottiva, s’irretisce la predisposizione a rivolgersi alle culle per la vita. E si lede la privacy di un bambino che, cresciuto, potrebbe riconoscere il suo nome (se vero) in questa vicenda e leggere di un’Italia che pensava di sapere cosa fosse meglio per lui.

Servono a poco i ripensamenti di chi provoca questo fragore mediatico: le rettifiche non godono mai della stessa notiziabilità delle boutade originarie. C’è un intero settore di organizzazioni che professionalmente si occupa di genitorialità in situazioni di fragilità: è il Terzo Settore che, quantomeno in queste circostanze, dovrebbe essere il primo».

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