Welfare

Tanta povertà e tante sovvenzioni

Il blocco dei Territorio ha avuto numerosi effetti deleteri (di Paolo Manzo e Joshua Massarenti).

di Paolo Manzo

Società ed economia palestinesi stanno male. Molto male. L?ultimo ?referto medico? della Banca mondiale, pubblicato lo scorso 25 novembre e intitolato Four Years – Intifada, Closures and Palestinian Economic Crisis, parla in modo inequivocabile: il malato, nonostante qualche timido segno di miglioramento, versa in condizioni preoccupanti. Ci vorrebbe una cura da cavallo per rimettere in sesto il paziente, ma la strada è ancora lunga. Eppure quella intrapresa nell?aprile 2003 aveva dato margini di speranza. Eravamo in Svizzera. Dopo la firma della Road Map voluta dal quartetto Stati Uniti, Onu, Unione europea e Russia, e approvata dalle autorità palestinesi e israeliane al Summit di Ginevra, lo scorso anno il Pil palestinese era cresciuto di un incoraggiante (quasi miracoloso) 6%. Ciò nonostante, se si considera il reddito prodotto da ogni abitante all?interno dei Territori palestinesi, il cosiddetto Pil pro capite, la crescita del 2003 risulta appena dell?1%. Purtroppo l?andamento positivo del 2003 termina con la ripresa delle politiche israeliane di chiusura e isolamento: secondo il Pbcs -Palestinian Central Bureau of Statistics, dei 103mila nuovi posti di lavoro creatisi all?interno dei Territori controllati dall?Anp (l?Autorità nazionale palestinese), il 21% in più rispetto al 2002, 22mila sono già ?evaporati? nei primi sei mesi del 2004. La crisi, però, non colpisce indistintamente tutti i territori: in Cisgiordania, per esempio, i posti di lavoro hanno ancora ?tenuto? nella prima metà del 2004 grazie all?aumento del part time, molto in voga viste le ore che i palestinesi passano ai check point, mentre i contratti a tempo pieno sono stati 17mila in meno rispetto al 2003. Le politiche restrittive di Israele, invece, hanno avuto conseguenze ben più gravi a Gaza, l?area più colpita dai coprifuochi. Lì, la crescita di 35mila nuovi posti di lavoro del 2003 è stata quasi vanificata nei primi sei mesi del 2004, in cui ne sono andati persi oltre 20mila. «Nel 2004, la disoccupazione ufficiale in Palestina è del 27%, nella Cisgiordania il tasso scende al 23%, ma nella Striscia si sfiora il 35%», spiega in esclusiva a Vita, da Gerusalemme Est, John Wetter, dal 2001 senior country economist della Banca mondiale per la West Bank e Gaza. Ovvero, l?estensore del rapporto della Banca mondiale che fotografa l?economia e la società palestinese. Un altro sintomo degli effetti deleteri del blocco dei Territori è il crollo dell?uso della manodopera palestinese da parte degli imprenditori di Tel Aviv e Gerusalemme. Prima dello scoppio della seconda Intifada, all?inizio del 2000, i palestinesi che lavoravano in Israele o negli insediamenti erano 146mila, pari al 22% del totale degli occupati: nel 2003 il numero era sceso ad appena 57mila unità, pari al 9% dei palestinesi con un lavoro. Tornando al Muro, oggi ne sono stati costruiti 185 chilometri e «se le previsioni del governo israeliano saranno rispettate», spiega Wetter, «circa 93mila palestinesi saranno separati dalle terre che coltivano, dalle risorse idriche, da luoghi di lavoro, scuole e centri sanitari della Cisgiordania. Il taglio sarebbe di 63.120 ettari, pari all?11,2% della terra della West Bank, se si esclude Gerusalemme Est». In quattro anni di Intifada, oggi «le imprese palestinesi producono al 20% delle loro capacità », spiega Gilles Paris, corrispondente di Le Monde in Israele e Palestina. Due società, quindi, mai così distanti dalla ripresa del conflitto. I 6,7 milioni di israeliani hanno un salario annuale medio pro capite di 12.500 euro, i palestinesi di 698 euro. Il rapporto sullo sviluppo umano 2004 dello Undp posiziona Israele al 22esimo posto della classifica, mentre i palestinesi si aggrappano disperatamente al 102esimo. Ma il blocco dei territori è l?unica causa della crisi che attanaglia la Palestina o, piuttosto, ha pesato anche la cattiva gestione dell?Anp? In molti spiegano l?emergenza economica con la corruzione di politici e amministratori palestinesi e, a guardare le statistiche di Trasparency International, qualcosa di vero sembra esserci. Nel 2004, l?indice di percezione della corruzione posiziona l?Anp al 108esimo posto (al pari dell?Albania) su 146 Paesi analizzati. «Ciò che vorrei sottolineare», insiste Wetter, «è che soprattutto nell?ultimo biennio i risultati nel promuovere la trasparenza dei flussi finanziari del ministero delle Finanze, Salam Fayad, e dell?Anp in generale, sono stati ottimi. Anzi, il livello di controllo pubblico sui flussi finanziari qui è forse il più alto di tutti i Paesi della regione». Resta il fatto che, oggi, l?Anp dipende dalla cooperazione internazionale che, seppur in calo, nel 2003 ha raggiunto la cifra ragguardevole di 195 euro per ogni palestinese. Un dato impressionante, se confrontato con i 20 euro che riceve un africano.

Paolo Manzo Joshua Massarenti


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