Politica

Taglio dei parlamentari, un referendum senza valore costituente

"Mi sono schierata per il No, ma voterò senza alcun entusiasmo: nè da una parte, nè dall'altra sono maturate vere riflessioni su cosa e perché cambiare. Il nodo vero? Un sistema dei partiti che fa acqua da tutte le parti» Dialogo con la costituzionalista dell'università statale di Milano Lorenza Violini

di Redazione

Docente di diritto costituzionale all’università statale di Milano, Lorenza Violini a fine agosto ha firmato l’appello contro il taglio dei parlamentari previsto dal referendum dei prossimi 20 e 21 settembre insieme ad altri 182 colleghi. Ai tempi della riforma del 2016 si era schierata a favore del testo Renzi-Boschi che, fra gli altri provvedimenti, prevedeva anche una forte riduzione del numero dei senatori (da 315 a 100, che sarebbero però stati eletti fra sindaci e consiglieri regionali). Più della scelta in sé, colpiscono le motivazioni della professoressa, da sempre attenta nel suo percorso di studio ai rapporti fra società civile e mondo istituzionale.

Professoressa, partiamo da una domanda forse banale: questo è un referendum importante?
Direi di no. Lo si fa perché non sono riusciti ad arrivare a una maggioranza dei 2/3 in Parlamento. Ma il punto vero è che né da una parte, né dall’altra c’è dietro un “valore costituente”.

In che senso?
Non vedo alcuno spirito di vero cambiamento. La Costituzione è un atto fondante di un Paese e ogni cambiamento di quel testo modifica i valori sostanziali su cui si regge il sistema. Io su questo, che dovrebbe essere il punto, non vedo e non sento riflessioni.

Quindi il nostro sarà un voto ininfluente rispetto alla qualità democratica e all’efficienza istituzionale del nostro sistema?
Penso che sia assolutamente così. Io stesso voterò senza alcun entusiasmo. Ripeto non scorgo alcun desiderio di cambiare veramente gli elementi portanti della nostra democrazia. Fra cui, per inciso, non annovero certo il numero dei parlamentari. È un dettaglio che dovrebbe stare dentro un quadro più grande che comprende l’efficienza del Parlamento, la legge elettorale, la struttura dei partiti, il peso delle regioni rispetto allo Stato centrale, il valore della legge rispetto alla decretazione di urgenza (che maschera uno strapotere dell’esecutivo) e via discorrendo.

Il nodo è: come vogliamo che i partiti incidano sulla vita del Paese e quindi nel rapporto con società civile e istituzioni? Questo dovrebbe essere il punto di partenza di una riforma, non le dinamiche interne al sistema istituzionale

Per i sostenitori del sì, la riduzione del numero dei parlamentari è l’avvio di un domino che dovrebbe portare proprio alla revisione del sistema che lei evoca…
Però se vogliono il mio voto dovrebbero dare almeno qualche indicazione sulla direzione verso cui voglio andare. Il tempo lo hanno avuto. Ho molti dubbi anche sull’opportunità di far coincidere il referendum con le elezioni regionali. Sarà interessante valutare il delta di partecipazione fra le regioni in cui si vota anche per le elezioni e quelle in cui invece non si vota.

Sul punto però il Parlamento si è già espresso: sì al taglio dei parlamentari…
Ma lo hanno fatto, maggioranza e opposizione, per motivi di consenso, per dare riscontro a istanze anti casta ancora molto presenti nel Paese. Non certo in virtù di un disegno di riforma costituzionale compiuto. Per una ragione o per l’altra tutti e tre i partiti maggiori (Lega, Movimento 5 Stelle e Pd) sono alla ricerca di un consenso a brevissimo termine.

Le previsioni parlano di una probabile vittoria del sì (anche se i no paio in risalita). Se così fosse dobbiamo temere ripercussioni pericolose sul nostro assetto istituzionale e di rappresentanza?
Questa è un’ottima riflessione per votare no. Mi viene difficile credere che questa classe politica sia in grado di ricostruire il sistema nel suo complesso a partire della legge elettorale. Quello che posso pensare è che ci saranno degli interventi minuti sui regolamenti delle Camere. Se la domanda è: ci saranno dei disastri sul Paese, la risposta è no. Segno dell’inconsistenza del quesito. Se il percorso però è il taglio dei parlamentari associato a una riforma elettorale proporzionale con sbarramento al 5% io credo che si apre un’autostrada all’astensionismo. C’è un aspetto che di si parla poco, però.

Ovvero?
Il sistema dei partiti. Il nostro fa acqua da tutte le parti. Pensi ai primi tre: Lega, Pd e 5Stelle. I sondaggi li danno in calo o in fragile tenuta (il Pd). Se la fotografia è questa diventa impensabile affidare a loro l’infrastrutturazione sociale del Paese. Il nodo è: come vogliamo che i partiti incidano sulla vita del Paese e quindi nel rapporto con società civile e istituzioni? Questo dovrebbe essere il punto di partenza di una riforma, non le dinamiche interne al sistema istituzionale. Finché noi avremo un parlamento di nominati, strutture partitiche finalizzate al consenso di brevissimo periodo, un governo che va avanti a colpi di decreti, meno si tocca meno male ci facciamo. Teniamo ben presente che più il sistema politico degenera, più le istituzioni soffrono. I partiti vengono prima delle istituzioni, non viceversa. Le istituzioni sono efficienti, solo se sono gestite da persone che hanno in mente cosa sia l’efficienza e l’utilità. Puoi avere anche una Ferrari, ma se non hai un bravo pilota di sicuro ti vai a schiantare.

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