Politica
Tagliare le emissioni costerà meno
È il paradossale effetto della recessione secondo uno studio di Bruxelles
Da Bruxelles – Almeno un effetto positivo la crisi economica ce l’ha: secondo un attesissimo studio presentato dalla commissaria europea per l’Ambiente, Connie Hedegaard, ridurre del 20% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 costerebbe ai paesi europei 22 miliardi di euro in meno rispetto alle stime racchiuse in un studio precedente della Commissione Ue datato 2008. Tuttavia, le ambizioni di una parte degli Stati membri di portare al 30% i tagli delle emissioni di CO2 entro il prossimo decennio si scontrano con la dura realtà della crisi medesima. Per Hedegaard, “spostare dal 20 al 30% l’obiettivo in materia di riduzione delle emissioni entro il 2020 è una decisione politica che i dirigenti dell’Ue dovranno prendere quando il calendario e le condizioni lo consentiranno”.
Il calendario ci dice che una posizione comune l’Unione Europea dovrebbe assumerla entro il prossimo Vertice mondiale sul clima previsto in novembre 2010 a Città del Messico. La prima tappa è fissata il 17 giugno a Bruxelles con il Summit dei capi di Stato dell’Unione Europea in programma a Bruxelles, al quale seguirà un Summit Ue straordinario a metà settembre. Ma la marcia di avvicinamento a Città del Messico rischia di trasformarsi in una vera e propria corsa ad ostacoli: se la crisi dell’Euro dovesse perdurare, la speranza di raggiungere la fatidica quota del 30% rischia di rimanere una chimera.
Ma all’Unità Europa di Greenpeace la speranza è l’ultima a morire. A Vita, Mark Breddy, communications expert, fa sapere “che la partita è apertissima. Da un lato abbiamo le lobby dei settori dell’acciaio e delle raffinerie che esercitano pressioni enormi a Bruxelles per scongiurare l’ipotesi che gli Stati Membri accettino di ridurre le emissioni di CO2 del 30%. Sul fronte opposto c’è la società civile che può contare sulla strenua volontà dei paesi scandinavi, e recentissimamente del nuovo governo britannico guidato dalla coppia Cameron-Clegg di fare della lotta al riscaldamento climatico una priorità assoluta nella loro agenda politica”.
Dal canto loro, i giganti dell’acciaio come Arcelor-Mittal e Lafarge possono approfittare delle reticenze di alcuni paesi europeo come la Germania e, in misura minore la Francia. Ieri il ministro tedesco dell’Economia, il liberale Rainer Bruderle, e il ministro francese dell’Industria, Christian Estrosi, hanno posto un freno alle ambizioni della commissaria Ue per l’Ambiente, nota per voler a tutti i costi abbassare del 30% le emissioni di gas a effetto serra. Dal canto suo, il governo di Angela Merkel deve fare i conti con la lobby industriale tedesca, mentre il presidente Sarkozy sarebbe pronto ad accettare il target del 30%, a patto però che venga introdotta una tassazione sui prodotti importati in Europa e che sono fonti di inquinamento. C’è poi il problema della Cina e degli Stati Uniti, chiamati raddoppiare gli sforzi a favore dell’ambiente.
Di fronte alla crisi, le nazioni più potenti del mondo sono convinte che adottando una politica ambientalista vengano colpiti interi comparti industriali nazionali (altamente inquinanti), il che aumenterebbe la disoccupazione, quindi il malcontento sociale, con il rischio finale di perdere elettori. “Niente di più falso” sostiene Mark Breddy di Greenpeace. “Molti studi ci dimostrano che politiche economiche pro-ambientali favorirebbero la creazione di centinaia di miglia di posti di lavoro”. Ora si tratta di convincere Parigi e Berlino, veri assi della bilancia delle politiche ambientali di Bruxelles. “Non sarà facile, ma possiamo contare sui ministri dell’ambiente tedesco e francese che sono decisi a dare battaglia fino in fondo contro i loro colleghi più sensibili al mondo industriale”. Un mondo che secondo Breddy non dovrebbe lamentarsi. “Sappiamo che nei settori dell’acciaio e delle raffinerie, le multinazionali hanno guadagnato miliardi attraverso il mercato del carbonio*. Per essere precisi 14 miliardi di euro in tre anni”. Come? Ricevendo a gratis permessi di emettere CO2, quindi consumare crediti che fanno poi pagare ai consumatori.
* Note anche come le borse delle emissioni: consentono di andare a ridurre le emissioni laddove è più conveniente farlo, invece che accanirsi su quegli impianti o luoghi dove per abbattere la CO2 emessa si dovrebbero affrontare costi spropositati.
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