Educational

Tablet a scuola: lo switch-off della Svezia e le domande giuste da farsi

La Svezia fa retromarcia, fermando l'investimento previsto per dotare di un tablet anche i bambini della scuola dell'infanzia. Siamo entrati in nuova fase, in cui l'ed-tech viene messo in discussione. Bene che si metta a tema l'impatto, anche se misurarlo non è così facile... In dialogo con Donatella Solda, fondatrice di Future Education Modena-Fem

di Sara De Carli

ragazzina al banco di scuola con libri e computer

Marcia indietro sui tablet, meglio la carta dell’iPad: i titoli sono più o meno questi. E se lo fa la Svezia, da anni pioniera della ed-tech, allora la cosa si fa seria per davvero. La notizia dello switch-off dall’utilizzo delle tecnologie digitali a scuola, in Svezia, sta rimbalzando ovunque, dopo l’articolo pubblicato dal Guardian l’11 settembre. Lì però la notizia è completa e corretta fin dal titolo: il cambio di rotta riguarda infatti le scuole dell’infanzia svedesi, che a onor del vero i tablet non li hanno mai usati. Il ministro della Pubblica istruzione, Lotta Edholm (insediatasi undici mesi fa nell’ambito di un governo di centro-destra) ha annunciato la messa in stand by per quattro anni della nuova strategia di digitalizzazione dell’Agenzia nazionale svedese per l’istruzione, così da consentire ai ricercatori di arrivare a delle evidenze. La revoca riguarda in particolare l’estensione anche nelle scuole dell’infanzia della dotazione di un dispositivo digitale per ogni alunno e lo stop alla digitalizzazione dei test nazionali che si svolgono nelle terze classi delle scuole primarie. L’utilizzo dei tablet e della didattica digitale resta: in Svezia infatti, uno dei Paesi che ha abbracciato in modo più radicale l’utilizzo della tecnologia nella didattica, tutti gli alunni – dalla primaria all’università – hanno a disposizione un computer, proprio o finanziato dallo Stato, benché alla primaria sia già previsto che il digitale non sia né pervasivo né totalizzante.

Domani Edholm la ministra annuncerà i dettagli della nuova strategia d’investimento per migliorare le competenze di lettura, che in Svezia sono in declino, anche se sostanzialmente meno rispetto ad altri paesi (la Svezia infatti ha motivato la sua decisione facendo riferimento ai risultati in calo nelle competenze di lettura dei bambini di 10 anni, passate secondo il Progress in International Reading Literacy Study (PIRLS) dai 555 punti del 2016 ai 544 punti del 2021. Sono comunque al sesto posto nel mondo, a pari merito con Taiwan. L’Italia sta al nono posto, con 537 punti. Il podio della classifica? Singapore, Hong Kong e Russia con rispettivamente 587, 573 e 567 punti).

Il contesto è questo. E certamente aiuta a dare una lettura un po’ meno urlata e partigiana dalla notizia. Certo acchiappa questo mettere in piedi una narrazione per cui la Svezia passerebbe dallo slogan “un tablet per ogni studente” a una posizione per cui il buon vecchio “ogni studente avrà un libro per materia” diventa roba pionieristica, ma non corrisponde del tutto alla realtà. Quel che però è vero è che il dibattito sull’ed-tech si sta scaldando. Anche l’Unesco per esempio nelle scorse settimane ha pubblicato un poderoso report di 652 pagine dal titolo “An ed-tech tragedy? Educational technologies and school closures in the time of COVID-19” (lo trovate qui): raccoglie da tutto il mondo esperienze di “didattica a distanza” fatte durante il Covid e analizza il loro impatto. Stefania Giannini, vice direttore generale per l’Istruzione dell’Unesco, nella prefazione definisce questa relazione tra education e tecnologia come una «storia turbolenta» e invita esplicitamente i Paesi ad «esercitare una maggiore umiltà e cautela nel considerare le promesse educative delle ultime meraviglie tecnologiche». Se non è guerra aperta, poco ci manca.

Il report dell’Unesco ha «molto sorpreso» Donatella Solda, direttore di FEM-Future Education Modena e fondatrice e presidente di Edtech Italia: non perché non ci debba essere riflessione e dibattito, anzi, ma perché si prende un periodo emergenziale, quello della pandemia, in cui il mondo ha fatto un uso massiccio nella didattica di una tecnologia semplice – di fatto una videochiamata globale – assumendo quel “pezzetto” di tecnologia come se fosse il tutto della ed-tech; si rileva le competenze degli studenti dopo la pandemia sono peggiorate; si imputa che questo dipenda in toto dall’utilizzo estensivo della tecnologia; si conclude che l’educazione debba essere messa al riparo dalla tecnologia.

Per Solda gli aggettivi chiave del ragionamento sull’utilizzo della tecnologia nell’educazione formale sono “bilanciato” e “rilevante”, mentre la Svezia rappresenta un po’ un esempio di un “abbraccio totale della tecnologia”, quasi «estremo». «Noi abbiamo sempre lavorato sull’uso bilanciato, intenzionale, rilevante delle tecnologie nell’apprendimento: se serve la usi, se non serve non la usi. Quello che spingiamo non sono “le mode tecnologiche”, ma un concetto di innovazione intenzionale e ad impatto, consapevoli che ogni ambiente di apprendimento ha i suoi pro e i suoi contro, tant’è che si parla di bi-alfabetizzazione. Per esempio leggere in digitale è molto vantaggioso per i ragazzi con dislessia o per lavorare in gruppo, mentre in altri momenti e per altri obiettivi è meglio leggere su carta. Il punto non è scegliere un ambiente o rifiutarne un altro, ma sapere come comportarsi in ogni ambiente di apprendimento per prendere il meglio da ciascuno», dice Solda.


Noi abbiamo sempre lavorato sull’uso bilanciato, intenzionale, rilevante delle tecnologie nell’apprendimento: se serve la usi, altrimenti no. Ogni ambiente di apprendimento ha i suoi pro e i suoi contro. Il punto non è rifiutarne uno, ma sapere come comportarsi in ogni ambiente per prendere il meglio da ciascuno

Donatella Solda, direttore di FEM

Se la scuola deve formare i cittadini, quindi, non ha senso bandire le tecnologie, perché fanno parte delle nostre vite. Se il tema invece è ragionare sull’impatto delle tecnologie sugli apprendimenti, per via di una didattica che ne fa più o meno uso, la questione è terribilmente e problematicamente semplice: «È banale, ma la risposta è tutta qui: un uso buono della tecnologia produce impatti buoni; un uso cattivo della tecnologia produce impatti cattivi», dice Solda. «Troppo spesso – lo dico senza colpevolizzare nessuno – le tecnologie vengono utilizzate in modo molto più semplice di quel che potrebbero fare e in questo modo evidentemente non producono gli effetti che potenzialmente potrebbero avere. Però dobbiamo essere chiari: usare un computer per fare una videochiamata non è ed-tech. L’ed-tech è una cosa più sofisticata, sono le piattaforme che consentono la personalizzazione degli apprendimenti, è per esempio Duolingo che ti permette di imparare le lingue passo a passo, correggendoti». Se la nostra didattica digitale è questa, troppo facile poi dire che non funziona.

È banale, ma un uso buono della tecnologia produce impatti buoni; un uso cattivo della tecnologia produce impatti cattivi. Però dobbiamo essere chiari: usare un computer per fare una videochiamata non è ed-tech

Donatella Solda

E circa la possibilità di avere o non avere evidenze di un impatto dell’utilizzo delle tecnologie sugli apprendimenti e quindi per esempio di un legame reale tra uso delle tecnologie e risultati dell’indagine Pisa-Ocse, conclude Solda, «ne parliamo continuamente con chi fa ricerca, ma la verità è che al momento è difficilissimo, per due elementi: da un lato il fattore tempo, che necessariamente deve essere lungo, dall’altro il fatto che tutto il contesto è cambiato, con moltissimi fattori che entrano in gioco e influenzano l’apprendimento».

Per inciso, la Svezia ha motivato la sua decisione facendo riferimento ai risultati in calo nelle competenze di lettura dei bambini di 10 anni, passate secondo il Progress in International Reading Literacy Study (PIRLS) dai 555 punti del 2016 ai 544 punti del 2021. Sono comunque al sesto posto nel mondo, a pari merito con Taiwan. L’Italia sta al nono posto, con 537 punti. Il podio della classifica? Singapore, Hong Kong e Russia con rispettivamente 587, 573 e 567 punti.

Foto di RDNE Stock project su Pexels

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