Se sarà una rivoluzione, lo diranno gli anni e la buona volontà delle società, ma la Serie B precede ancora una volta la A. E lo fa nel campo nella gestione finanziaria. La Lega della seconda serie, guidata da Andrea Abodi, vara il salary cap, il tetto salariale per gli ingaggi che si applicherà ai contratti firmati a partire dal primo luglio 2013.
Il limite individuale sarà di 150mila euro per la parte fissa e la stessa cifra per la parte variabile (cioè i premi in caso di presenze, promozione, obiettivi raggiunti). Nel caso non si dovessero rispettare tali parametri sono previste multe che al 50% dovrebbero andare alla società sane e per il 50% al finanziamento di infrastrutture e vivai. Un meccanismo quello del salary cap (già utilizzato negli sport Usa su base collettiva non per ridurre i costi ma per livellare la competizione) che secondo i calcoli dei 22 presidenti di Serie B dovrebbe far risparmiare alle società un 25% di spese.
Misure che insieme al contingentamento delle rose (dal 2013-2014 nessuna squadra potrà avere più 22 giocatore sopra i 21 anni, 20 dall’anno dopo) e alla riduzione delle squadre (da 22 a 20 nel prossimo futuro) dovrebbero nelle parole di Abodi “tutela del patrimonio finanziario delle nostre società”.
Un cammino simile a quello che ha intrapreso la LegaPro che gestisce le “vecchie” C1-C2 (Prima e Seconda Divisione). Con il ritorno nel 2014-2015 a una terza serie unica, con 3 gironi da 20 squadre. Meno club e più stringenti parametri economici. Seicentomila euro per iscriversi, budget da presentare a inizio dell’anno e sanzioni per chi non paga stipendi e contributi. Il tutto anche per evitare che falliscano squadre a gogò, come nelle ultime stagioni. A questo tentativo di riforme c’è un’assente illustre, la Serie A. Dove, nonostante le priorità siano chiare, poco si muove.
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