Non profit

Svolta in casa Amnesty: con le aziende ora si parla

La neopresidente della sezione italiana spiega il cambio di strategia

di Emanuela Citterio

La nuova campagna punta tutto sulla responsabilità sociale d’impresa. «”Io pretendo dignità” è il frutto di un deciso cambiamento di policy: durerà anni e coinvolgerà tutto il mondo», annuncia Christine Weise
L’Eni ha fatto sapere che sta attuando due delle raccomandazioni contenute nel rapporto «Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger» di Amnesty International, che ha accusato le industrie estrattive, soprattutto la Shell, di non adottare misure sufficienti per prevenire i danni ambientali e di non aver rimediato «al devastante impatto dei loro errori e delle pratiche sulle vite delle persone». Per Christine Weise, neopresidente di Amnesty Italia dallo scorso maggio, è un primo risultato. Che a sua volta è frutto di una nuova strategia.
Vita: Banca Etica ha comprato le azioni dell’Eni per cambiarla dall’interno, voi avete in corso un dialogo con l’azienda. È finita l’era del boicottaggio?
Christine Weise: Amnesty non ha mai chiamato al boicottaggio, però è vero che c’è stata una svolta sul modo di intendere i diritti umani. In passato avevamo già condotto azioni su Shell chiedendo trasparenza e facendo notare quali erano le nostre preoccupazioni riguardo ai diritti umani. Si trattava però di azioni sporadiche.
Vita: Ora cosa è cambiato?
Weise: Le azioni che spingono le aziende verso la responsabilità sociale sono inquadrate in una grande campagna comunicativa e di attivismo. Si chiama “Io pretendo dignità”, durerà anni e sarà portata avanti in tutto il mondo da Amnesty come campagna principale. Che è anche il frutto di una svolta concettuale.
Vita: Quale?
Weise: All’inizio degli anni Duemila abbiamo deciso un cambiamento di policy: non occuparci più solo dei diritti civili e politici ma dell’universalità dei diritti umani, inclusi quelli economici e sociali. C’è voluto del tempo per attuare questo nuovo percorso, abbiamo dovuto imparare.
Vita: Perché partire con il caso Nigeria?
Weise: Ciò che accade in questo Paese rappresenta un caso di violazione dei diritti umani a partire da un’attività economica. Le persone che vivono nel delta del Niger subiscono da anni un inquinamento terribile, bevono acqua e respirano aria avvelenate. Per di più non hanno accesso alle informazioni. Abbiamo chiesto alle aziende che fanno attività estrattiva che ci sia una documentazione molto precisa su dove sono le fuoriuscite di petrolio, quale sia la loro entità, dove vengono scaricati i rifiuti. Ci deve essere una valutazione dell’impatto ambientale e devono essere pubblicati gli studi sulle condizioni della terra, dell’aria e delle acque della zona. Chiediamo anche che le aziende consentano un monitoraggio indipendente sul loro operato. Sul delta del Niger andremo avanti: usciranno altri rapporti e abbiamo chiesto un incontro ufficiale con Eni.


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