Cultura

Svolta del tribunale di Milano: il permesso di soggiorno per povertà

Un giovane proveniente dal Gambia, uno dei paesi più miseri dell'Africa, ottiene la protezione umanitaria non per motivi politici ma semplicemente perché se tornasse in patria rischierebbe di morire di fame. Decisione sacrosanta o apertura indiscriminata a tutti i migranti economici?

di Gabriella Meroni

Non è un perseguitato, come aveva sostenuto lui stesso, quindi non rischia la vita nel suo paese per motivi politici; tuttavia merita la protezione umanitaria (e quindi il permesso di soggiorno) perché se tornasse in Gambia morirebbe di fame. È questa, in sintesi, la motivazione innovativa con cui un giudice del tribunale di Milano, Federico Salmeri, ha regolarizzato la situazione di un ragazzo di 24 anni arrivato nel nostro paese a marzo provenendo da un paese dove esistono, si legge nell'ordinanza, «oggettive difficoltà economiche, di diffusa povertà e di limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, tra cui il diritto alla salute e alla alimentazione». In Gambia, ha scritto il magistrato della prima sezione civile, c’è una povertà tale da esporre il giovane a una condizione di «vulnerabilità», parola citata in diverse pronunce della Corte di Cassazione: l’aspettativa di vita è di 59,4 anni (in Italia 82), il Pil pro capite di 1600 dollari (in Italia 35 mila), esiste una «stagione della fame» che dura ogni anno da due a quattro mesi.

Ecco perché sarebbe sbagliato rimandare il giovane nel suo paese, contro l’opinione della Commissione territoriale, che aveva respinto la richiesta dell'immigrato di rimanere nel nostro Paese come rifugiato. Il ragazzo aveva infatti raccontato di essere perseguitato nel suo Paese in quanto militante del partito antigovernativo Udp; una storia che non ha convinto lo stesso Salmeri, che però ha ritenuto comunque di concedere la protezione umanitaria appellandosi alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo secondo la quale «ogni individuo ha il diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali». Diritti che sono appunto negati in Gambia. Un permesso di soggiorno per motivi economici, dunque, che ha fatto infuriare la Lega Nord, ma che viene chiarito negli intenti dallo stesso giudice: un provvedimento di rimpatrio – scrive ancora – sarebbe un atto «in spregio agli obblighi di solidarietà di fonte nazionale ed internazionale», e anche se la decisione potrebbe «comportare il rischio di un riconoscimento di massa della protezione umanitaria», questo non ha importanza, in quanto «per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso».

Federico Salmeri non è nuovo a provvedimenti che colpiscono casi di discriminazione nei confronti di giovani africani: nel 2010, quando era in forze al Tribunale di Lodi aveva infatti ordinato alla Federazione italiana gioco calcio di tesserare un calciatore originario del Togo, Shaib Idrissuou Biyao Kolou, rifugiato e in attesa di permesso di soggiorno. La Figc si rifiutava di tesserarlo perché il ragazzo era in possesso di un permesso temporaneo, che non sarebbe durato fino alla fine del campionato, ma anche «per tutelare i vivai nostrani». Una motivazione decisamente infelice che ha portato alla condanna della Federazione per «ingiusta discrimininazione».

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