Non profit

Sussidiarietà, non sussidi

Il futuro del volontariato. Il dibattito iniziato da Stefano Zamagni continua con l'intervento di Teresa Petrangolini presidente Cittadinanzattiva

di Redazione

La presentazione del Rapporto Fivol sul volontariato in Italia è una occasione ghiotta per riparlare, dati alla mano, di un fenomeno di cui si dice di tutto e di più. Io cercherò di dire la mia, esprimendo il punto di vista di una organizzazione, Cittadinanzattiva, nella quale ?milito? da molti anni. Non si tratta di un movimento di volontariato in senso stretto, non fa assistenza alle persone, non fa azioni di promozione sociale, ma, come recita la sua missione, è comunque composto da volontari impegnati nella tutela e nella rappresentanza dei diritti dei cittadini e dei consumatori. Apprezzo il coraggio e anche la durezza con cui Vita prima e la Fivol poi, hanno affrontato l?argomento. Non condivido, però, alcuni eccessi allarmistici nei confronti delle evoluzioni del mondo del volontariato. Nel rapporto della Fivol ci sono tante belle notizie che andrebbero evidenziate e io proverò a farlo indicando, assieme, alcune note critiche. Crisi di crescita? Crisi dei valori o crescita di coscienza civica? Il professor Stefano Zamagni, proprio su Vita, ha denunciato, qualche settimana fa, una perdita della cultura del dono tra i cittadini italiani. Ma siano proprio sicuri che sia così? È significativo che le organizzazioni continuino a crescere e che ciò avvenga per iniziative dal basso e non su spinta delle grandi centrali nazionali. Questo essere così legati al territorio e alle problematiche che da questo emergono è un segnale che deve essere letto nel suo significato più profondo: le motivazioni a muoversi vengono sempre meno dall?esterno e sempre più come risposta del cittadino di fronte alla necessità di prendersi cura dell?interesse generale e dei beni comuni nel proprio mondo e con i propri valori. Si tratta di una risposta molto ?civica? che ha poco a che vedere con la perdita di motivazioni ideali. Considero una buona notizia il fatto che il mondo del volontariato cominci a dare lavoro a tanta gente. È un fattore di crescita della società italiana e non la fine del volontariato. Non esiste nel mondo organizzazione volontaria che superi il livello dell?aggregazione informale la quale non abbia, almeno nella struttura di governo, personale retribuito. è impossibile aggregare volontari se non ci sono altre persone, impegnate a tempo pieno, che si preoccupano di creare le condizioni per far operare chi può dare solo il suo tempo libero. Parlare di volontariato in termini di puro spontaneismo significa, sì, votarlo a una fine certa. E forse, considerata la forza che esso potenzialmente è in grado di esprimere, qualcuno potrebbe essere interessato a lasciarlo nella frammentazione e nella disorganizzazione. Anche qui il dato andrebbe analizzato in profondità. Fare i volontari è faticoso e soprattutto non ci sono molti modi per farlo: o ci si impegna con tutto se stesso o non c?è spazio per una partecipazione più soft, e quindi alla portata di tutti. Molte organizzazioni non sono capaci di offrire modalità di impegno e di partecipazione per la generalità dei cittadini. Allora prevale l?idea che è meglio essere pochi, ma bravi, buoni e completamente dediti alla causa. Cittadinanzattiva ha superato con grandissime difficoltà questa sindrome, avviando una ricerca sui diversi livelli di impegno e sugli strumenti di accoglienza e di formazione dei cittadini comuni. Questa sperimentazione gli ha permesso di allargare molto l?area dei cittadini attivi ?mobilitati? e di abbassare l?età media degli aderenti, con l?ingresso di giovani e di giovani adulti. Libertà o dipendenza? Libertà, interesse pubblico e dipendenza dallo Stato. È qui che a mio avviso si annidano le maggiori difficoltà e i maggiori pericoli. Il problema è: in che modo si può svolgere una funzione di interesse pubblico, restando liberi e non essendo subalterni a nessun disegno o strumentalizzazione? Nessuno ha la soluzione in tasca. Una possibile risposta è: superando il doppio complesso di superiorità morale e di inferiorità politica, di cui ha scritto Giovanni Moro. Tre potrebbero essere le direzioni: maturare una propria visione della riforma del Welfare State, guardando anche un po? fuori dai nostri confini (all?Europa, ma anche agli Stati Uniti e al Canada, dove le organizzazioni non profit stanno lavorando molto su questo tema); rivedendo la politica di raccolta fondi, al fine di evitare di confondere la sussidiarietà con i sussidi delle istituzioni; riconsiderare la propria funzione di attore pubblico alla luce del nuovo art. 118 della Costituzione, che riconosce l?autonomia e la libertà del cittadini e delle loro organizzazioni nell?individuazione e nella gestione dell?interesse generale. Ci vorrebbero insomma meno complessi, meno paura e un po? di sana soggettività politica.

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