Welfare
“Super OSS” per i fragili cronici: chi è che cosa farà
Anche la Lombardia, dopo Veneto e Liguria, si appresta a deliberare sulla formazione complementare in assistenza sanitaria per l'operatore socio sanitario. Una figura intermedia tra OSS e infermiere, che gestisca i bisogni della cronicità come l'aderenza terapeutica per i farmaci o la peg. Trecento ore di formazione, per personale già in servizio. Formazione anche per gli infermieri, che avranno ruoli di coordinamento
Dopo Veneto e Liguria, l’OSSS “con tre esse” è in arrivo anche in Lombardia. Non si tratta di un nuovo profilo professionale, ma di una formazione complementare in assistenza sanitaria per l’operatore socio sanitario, per qualificare ulteriormente il suo lavoro al fianco delle persone anziane e con disabilità in particolare nelle strutture sociosanitarie residenziali e semiresidenziali.
Questa figura rientra nei profili formativi nazionali delle professioni dell’area sanitaria ed era già stata oggetto di definizione nella conferenza Stato regioni del 16.1.2003. Non si tratta quindi di una scelta dettata dall’emergenza e dalla mancanza di infermieri. Certo, dopo 19 anni, la necessità di questa figura professionale si è fatta ancora più urgente, sia per il contesto del mercato del lavoro attuale sia – direi soprattutto – per l’evoluzione dei bisogni degli anziani e della cronicità», spiega Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia. La bozza della formazione prevista dalla Lombardia, su cui si dovrebbe arrivare a breve a delibera, prevede una formazione di quattro mesi, con 150 ore di lezioni teoriche e 150 ore di tirocinio, aperte a operatori già in servizio nella rete residenziale e diurna territoriale e selezionati dalle strutture, con la conoscenza della lingua italiana a livello B2 per gli stranieri. L’eventuale e attesa definizione a livello nazionale dei percorsi formativi per l’OSSS ovviamente comporterà il superamento delle indicazioni regionali.
Il concetto di base, già dal 2003, spiega Degani «è che questo operatore possa coadiuvare l’infermiere nelle attività assistenziali. È una figura intermedia tra operatore socio sanitario attuale, che gestisce l’igiene personale, gli spazi, i luoghi, le alzate, la parte diciamo “fisica” della persona non autosufficiente e una figura invece che a fronte del fatto che dinanzi a processi di cronicizzazione e continuità assistenziale – allettamento, piaghe da decubito, peg – possa gestire alcune azioni, dal punto di vista organizzativo, a cominciare dalla somministrazione del farmaco che oggi è in carico esclusivamente all’infermiere. È una scelta fatta anni fa, con una ratio che oggi in molti casi non vale più. Per molte persone non si tratta più di capire come dosare il farmaco: nella cronicità si tratta di aderenza tarapeutica, di prendere il farmaco negli orari giusti, con continuità e magari insieme al monitoraggio dei parametri vitali. È una cosa diversa dall’infermiere che deve gestire anche l’evento avverso o emergenziale. Questa situazione di cronicità è ancora più tipica oggi che sono passati 20 anni dal 2003. Si tratta di questo, di gestire farmaci per la cronicità, la peg, il momento dell’alimentazione che con le difficoltà di deglutizione tipiche della popolazione anziana in decadimento cognitivo: avere più professionisti in grado di gestire queste situazioni comporta un miglioramento della sicurezza e della qualità della vita».
Un aspetto cher Degani sottolinea è il fatto che nella bozza lombarda si tengono insieme la formazione degli OSS per aggiungere questi aspetti sanitari e la formazione degli infermieri referenti, che accompagneranno l’inserimento di questi nuovi OSSS: gli infermieri non saranno solo docenti nei corsi per OSSS ma avranno anche un ruolo di coordinamento poi del gruppo di lavoro, con competenze sul clima organizzativo e la comunicazione efficace. «Si innalza cioè anche la competenza infermieristica», dice Degani. Una scelta particolarmente importante in vista delle novità legate alla riorganizzazione della sanità territoriale con il Pnrr. «Recentissimamente è uscito il dm 77/22 (sempre citato prima come dm 71) sulla nuova sanità territoriale ed è stato presentato anche dalla nostra regione la allocazione delle case di comunità e degli ospedali di comunità. Accanto ai muri, serve un percorso di infrastrutturazione professionale di tali luoghi. Dobbiamo chiederci subito come evitare che le nuove assunzioni di figure infermieristiche nel pubblico impiego vadano a depauperare tutto il privato sociale che oggi è la principale risposta al tema della fragilità. Se inserisci questa figura intermedia e dai agli infermieri la possibilità di avere funzione di coordinamento, stai cominciando a infrastrutturare. La bozza della Lombardia ha una cornice che è prevalentemente quella della residenzialità, si poteva puntare anche sul domiciliare e il diurno, oltre al fatto che c’è necessità riconoscere questi percorsi anche per i giovani, non solo per chi già lavora».
Foto di Stefano Pedrelli per Fondazione Sacra Famiglia
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