Mondo

Sull’orlo della catastrofe

Agostino Miozzo, capo della protezione civile europea: Tripoli rischia di esplodere

di Joshua Massarenti

Bruxelles – “La situazione è quella che conosciamo tutti, con un’instabilità permanente che da Misrata si diffonde fino alle cittadine a sud di Tripoli. Ma oggi la più grande fonte di preoccupazione è la capitale libica”. Lo sostiene Agostino Miozzo, responsabile del dipartimento “Crisis responses” del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), in un’intervista rilasciata a Vita.it pochi giorni prima del Consiglio europeo in cui si prevedono dibattiti intensi sulla Libia dopo gli ultimi disastri provocati dai raid della Nato e la richiesta del ministro degli Esteri Franco Frattini di sospendere le operazioni militari e aprire un corridoio umanitario per soccorrere i civili.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, dall’inizio del conflitto hanno lasciato il territorio libico quasi 980mila profughi, “di cui 636mila non sono mai tornati in Libia”. All’interno del paese, i fronti di combattimento continuano a moltiplicarsi, mentre nei Paesi limitrofi come la Tunisia, le tensioni tra i rifugiati e le comunità locali rimangono palpabili. All’interno della Libia, le zone di combattimento si sono moltiplicate. (Leggi QUI l’inchiesta di Vita su sul numero in edicola ancora oggi)

Insomma, se come sostiene Miozzo “il paese non è ancora in situazione di catastrofe umanitaria”, poco ci manca. Il direttore del Dipartimento “Risposta di crisi”, che lavoro al servizio di Catherine Ashton, coglie l’opportunità di esprimersi su Vita.it per smentire le voci che lo annunciano come il futuro Rappresentante speciale dell’Unione Europea nel Sud Mediterraneo. “Non ne sono al corrente”.

Vita: Parliamo di Libia, allora. Perché Tripoli è così a rischio?
Agostino Miozzo
: La mancanza di carburante interrompe tutto il ciclo della distribuzione dei beni di prima necessità come gli alimenti e i farmaci. Benché non si possa parlare di catastrofe umanitaria, la popolazione è sottoposta a uno stress enorme. Le zone orientali controllate dal Consiglio nazionale transitorio (CNT) stanno tornando con grande difficoltà a una situazione di pseudo normalità. Ma i rischi di infiltrazione sono molto elevati come ce lo dimostra l’autobomba esplosa a Bengasi il 1 giugno scorso davanti all’Hotel Tibesti, uno dei principali della roccaforte dei ribelli, dove alloggiano i giornalisti stranieri, gli operatori umanitari e i diplomatici che si recano nella città per meeting con i leader del CNT.

Vita: Nel caso Tripoli dovesse trasformarsi in un campo di battaglia tra l’esercito di Gheddafi e i ribelli, avete una strategia d’intervento umanitario già pronta?
Miozzo
: Se Gheddafi dovesse andare via domani, più che una battaglia ci sarà un ritorno difficilissimo alla normalità. La crisi non si risolve con la partenza del leader libico. Semmai segnerà il passaggio alla ricostruzione di un paese devastato dal conflitto militare e da decenni di dittatura.

Vita: Ci si aspettava che Gheddafi potesse durare così a lungo?
Miozzo
: Col senno di poi è sempre facile parlare. Ma nel primo rapporto che presentai tre mesi fa agli Stati membri durante la riunione degli ambasciatori del Comitato politico di sicurezza dell’Unione Europa (COPS)  ipotizzammo un rischio di stallo che sarebbe potuto durare mesi, se non addirittura qualche anno. All’epoca avevamo confrontato le conseguenze di un’eventuale no-fly-zone in Libia con quanto era accaduto in passato con l’Iraq, dove Saddam Hussein è riuscito a sopravvivere per molti anni nonostante l’imposizione di una no-fly-zone. Non avevamo certezze sull’impatto diretto che la zona d’interdizione di volo sulla Libia avrebbe avuto sul regime, di sicuro è stata determinante per salvare Bengasi.

Vita: Sul lungo termine la Comunità internazionale sembra comunque incapace di poter sopportare i costi di questo conflitto, sia sul piano militare che su quello umanitario…
Miozzo
:  Questa riflessione andrebbe estesa anche alla Libia e allo Yemen, e in generale alla “primavera araba” dove milioni di persone aspirano a un nuovo modello politico, più democratico e più rispettoso dei diritti umani. Il vero problema è che la crisi del mondo arabo coincide con un periodo economico molto difficile. La crisi che stanno attraversando molti paesi dell’Unione e il coinvolgimento di alcuni Stati membri in Afghanistan, Irak, Libano o Kosovo non facilitano gli interventi militari e umanitari in nuovi scenari. Non a caso alcuni politici italiani chiedono la chiusura delle operazioni militari all’estero per trovare fondi per la riforma fiscale o per l’aggiustamento del bilancio. Insomma non è il momento migliore per avviare nuove operazioni militari.

Vita: Il 1 aprile scorso il Consiglio ha creato il quadro giuridico dell’operazione militare Eufor Libya con l’obiettivo di “contribuire a garantire la sicurezza degli spostamenti e dell’evacuazione delle persone sfollate” e “dare un appoggio alle agenzie umanitarie”. A che punto siamo nei preparativi della missione?
Miozzo
: Eufor è un’operazione di peacekeeping destinata a garantire i corridoi umanitari, assicurare la distribuzione degli aiuti, etc. In termini di definizione e di pianificazione l’operazione è andata avanti. Ma la vera preoccupazione è un’altra: il giorno in cui OCHA dovesse chiederci di intervenire, questo significherebbe che la Libia è sprofondata in una crisi umanitaria gravissima e che da sole, le Nazioni Unite, assieme a tutte le iniziative portate avanti sino ad oggi, cioè la no-fly-zone, le sanzioni e le pressioni internazionali, non sono più in grado di assistere la popolazione civile e limitare i danni provocati dal regime di Gheddafi. Personalmente mi auguro che ciò non accada. Per ora l’ONU tende a limitare il dispiegamento di un’ennesima operazione militare sul terreno in un territorio così critico come quello libico.

Vita: Questo secondo lei significa che la situazione umanitaria è ancora sotto controllo?
Miozzo
: In base ai report di OCHA, in Libia la situazione umanitaria è molto complicata ma rimane ancora nei limiti dell’accettabilità. Purtroppo lo scenario libico va inserito in un quadro generale drammatico che coinvolge la Siria, lo Yemen, a cui si aggiungono l’Algeria di cui si parla poco. La Comunità internazionale è confrontata a un possibile contagio delle crisi con rischi apocalittici.

Vita: Sarebbe in corso uno scontro tra la Ashton e la commissaria Ue per l’umanitario Georgevia, che si oppone a un appoggio militare Ue delle operazioni umanitarie, “almeno non adesso perché se è vero che l’accesso umanitario alle popolazioni è difficile, non è impossibile”. Conferma queste divergenze?
Miozzo
: La Commissione europea è un universo complesso, ma non ho mai sentito parlare di divergenze politiche tra la Ashton e la Georgieva.

Vita: Finora l’Ue ha stanziato 135 milioni di euro, che si aggiungono a 7,9 milioni di euro previsti per la missione Eufor. Non è un po’ poco per affrontare una situazione umanitaria così drammatica che si consuma alle porte dell’Europa?
Miozzo
: Attenzione, i fondi che lei cita sono quelli di ECHO. Accanto ai fondi umanitari, ci sono molti altri tipi di finanziamento come lo strumento di stabilità, i fondi della DEVCO (Direzione Generale Sviluppo e cooperazione, e EuropeAid, ndr). Al di là della problematica dei finanziamenti, la gestione dei profughi da parte dell’Acnur, dell’OIM, della Croce Rossa e delle Ong è stata eccezionale. L’Europa rimane un erogatore di risorse finanziarie più che un gestore degli aiuti. Personalmente sono favorevole al fatto che l’UE si esponga molto di più sul terreno per dare più visibilità rispetto a quanto fa. E non mi riferisco a una visibilità fine a se stessa. I miliardi di euro versati ogni anno attraverso le tasse dai cittadini europei agli aiuti umanitari e ai programmi di cooperazione allo sviluppo devono essere visibili. Altrimenti faremo sempre più fatica a giustificare i nostri interventi in quelle aree.

Vita: L’operazione di evacuazione delle persone sfollate prevista da Eufor dovrebbe dispiegarsi nei paesi limitrofi, tra cui Tunisia, Egitto, Niger e Ciad. Ora, tutti questi paesi hanno largamente superato le loro capacità di accoglienza. Esiste un piano B?
Miozzo
: Non parlerei di piano B, ma di emergenza. Ad ogni modo è un problema che dovrà essere affrontato nel momento dovuto. Di sicuro dovremo essere pronti a intervenire anche nei peggiori scenari.

Vita: Per il dopo Gheddafi, lei ha indicato due priorità: la riforma del settore di sicurezza e il controllo delle frontiere. Ma un generale tedesco sostiene che “l’attuale pianificazione dell’impegno europeo è insufficiente. L’Europa deve potersi implicare con un’operazione di mantenimento della pace”. E’ un giudizio condivisibile?
Miozzo
: Non mi esprimo sulla dichiarazioni altrui. Per quanto mi riguarda confermo le priorità che ho indicato. Nel bene o nel male, Gheddafi aveva blindato le frontiere permettendo un’infiltrazione controllata di manodopera a basso costo o di mercenari, ma tenendo lontani i terroristi di Al Qaeda dal territorio libico. Oggi la preoccupazione Al Qaeda è di nuovo all’ordine del giorno in un’area dove i confini sono ormai inesistenti. Ora la Libia non confina con la Svizzera, la Slovenia, la Francia o l’Italia, ma con paesi con grandi difficoltà come l’Egitto, la Tunisia, l’Algeria e a sud con il Niger e il Mali.

La riorganizzazione dell’esercito è un’altra grande priorità che dobbiamo assegnarci. Se domani Gheddafi se ne va, dovremo fare i conti con due eserciti. Delle due l’una: o questi eserciti si frantumano in una parcellizzazione che renderà impossibile la possibilità di governare il futuro esercito nazionale e la difesa, oppure il futuro governo riunisce coloro che oggi si stanno sparando. I responsabili del CNT sono favorevoli alla seconda opzione.

Vita: Se Gheddafi dovesse cadere nelle prossime settimane, teme un vuoto di potere?
Miozzo
: Allo stato attuale la mia risposta è no. Assieme alla Ashton abbiamo incontrato un consiglio nazionale transitorio composto da gente molto competente, preparata, ben organizzata con le idee chiare sulle priorità del paese. La Libia non è un paese come un altro. I suoi cittadini sono capaci di riservarci molte sorprese. Il mio non è un giudizio campato per aria. Sono andato a Bengasi tre volte da quando il conflitto è scoppiato. In tre mesi ho visto progressi fenomenali.

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