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Sulla spiaggia di Cutro la processione della solidarietà

Associazioni, attivisti, collettivi, singoli cittadini, sopravvissuti al naufragio di Cutro, familiari delle vittime: all'incontro "Fermiamo la strage subito! Manifestazione nazionale a Cutro" hanno partecipato 5mila persone per chiedere che si faccia chiarezza su quello che è successo e canali d'ingresso sicuri e legali che non mettano mai più a rischio la vita delle persone. «Aspettiamo come fosse un parto che le onde ci restituiscano un bambino. Stamattina ho recuperato il corpo di mia nipote», racconta un familiare davanti a migliaia di persone strette attorno a lui vicino alla riva

di Alessia Manzi

«Ho perso mia suocera. Ora aspetto che il mare restituisca il corpo di mio cognato». Mohammed viene dall’Afghanistan e da anni vive in Italia. «Abbiamo ricevuto molta solidarietà dalle persone e dalle associazioni, ma ho tanto dolore». Come gli altri parenti delle vittime del naufragio di Cutro del 26 febbraio, da tredici giorni Mohammed aspetta di sapere cosa sia accaduto a pochi metri dalla costa in quella drammatica nottata.

È una giornata di fine inverno. Il vento agita il mare e le increspature bianche, che formano quasi un’onda più alta delle altre, segnano una secca: la stessa in cui l’imbarcazione partita da Smirne, in Turchia, è rimasta incagliata con a bordo oltre duecento persone in viaggio verso l’Europa.

«Sono due settimane che vediamo madri piangere sulle bare dei propri figli. Il problema delle morti in mare si risolve se rendiamo i viaggi sicuri» dice Manuelita Scigliano, presidente di Sabir, fra le associazioni che da giorni assiste i parenti delle vittime giunti al sud Italia anche dalla Germania. «Dobbiamo vergognarci. Ci riempiamo la bocca parlando dei diritti delle donne. E chi è stata chiusa in quella bara? Donne afghane, iraniane», incalza Scigliano al microfono davanti al corteo di cinquemila persone che ha invaso le strade di Steccato di Cutro, che insieme ai superstiti e ai familiari delle vittime del naufragio, chiede giustizia e verità per l’ennesima strage del mare.

“Assassini. Basta morti in mare”: è questo che grida la folla di associazioni, collettivi, attivisti e cittadini che camminano su una lunga strada che separa i campi circondati da verdi colline dalle seconde case affacciate sulla sabbia dorata. «Nel Mar Mediterraneo sono morte oltre 25 mila persone. Io sono arrivato qui dal Kurdistan coi primi sbarchi e vorrei che questo Paese, l’Europa, diventassero dei posti civili senza più morti in mare». grida Talip, interprete curdo arrivato oltre vent’anni fa su queste stesse coste. «Sono qui da giorni e ho provato la rabbia e il dolore dei parenti. Su quella spiaggia c’erano persone già accolte in Turchia», continua. «Nei primi anni 2000, l’Occidente ha ignorato le conseguenze che avrebbe avuto la guerra voluta di George Bush in Iraq e nel Medio Oriente. Nessuno vorrebbe lasciare la propria casa per andare a vivere altrove».

A pochi chilometri da Steccato di Cutro, questa località balneare in inverno abitata da un centinaio di persone, c’è il Cara di Sant’Anna. Sulla trafficata superstrada che collega Crotone a Steccato di Cutro, non è difficile incontrare donne e bambini, uomini in bicicletta o a piedi, che camminano per raggiungere il centro dove lo scorso novembre si stimavano oltre 1000 persone. «C’è stata solo una passerella mediatica. Il governo continua a puntare il dito contro chi subisce violenze non solo dalla Libia o dai Paesi di provenienza, ma anche dall’Europa», afferma Martina D.V. di Aula Studio Liberata, collettivo dell’Università della Calabria. «Lo Stato non è stato in mare. Le istituzioni non si sono prese le proprie responsabilità. C’è bisogno di politiche che rispettino i diritti e la dignità delle persone», incalza la studentessa reggendo uno striscione su cui si legge “Cutro, strage di Stato. Difendiamo le persone non i confini”.

Una

Una bambina suona il violino insieme al padre, che invece suona una melodia alla chitarra. Il vento inizia a placarsi. Al megafono si susseguono slogan e interventi delle realtà che riunite sotto la rete 26 febbraio; un coordinamento di gruppi impegnati nel sociale e nella politica dal basso nato all’indomani della strage di Cutro. «Oggi abbiamo portato una coperta cucita a Lampedusa perché Cutro ricorda il naufragio del 3 ottobre 2013», dice Mimma Sprizzi di “La coperta della memoria Palmi- Gioia Tauro”, un’associazione che aderisce a “La coperta di Yousuf”; un’iniziativa voluta per ricordare un bambino morto sulla costa di Lampedusa nel 2020. «Con la coperta portata da Rosarno noi ricordiamo i braccianti morti nella Piana, come Becky Moses e Soumaila Sacko», continua Sprizzi reggendo insieme ad altre tre donne una colorata coperta all’uncinetto. «Ce n’è un’altra che arriva da Torino, per ricordare chi è morto sul confine tra Italia e Francia».

«Siamo qui oggi a fare ciò che il Consiglio dei Ministri non ha fatto e dare dignità alle vittime innocenti delle leggi di questo Stato. Queste ennesime vittime non sono infatti frutto della cattiveria del mare. Sono il risultato di almeno 20 anni di propaganda; 20 anni di ingressi legali negati, 20 anni di retorica razzista, 20 anni di leggi che hanno costruito il più grande cimitero a cielo aperto del mondo perché in questo paese, grazie alla legge Bossi-Fini, non si entra più regolarmente e le persone sono costrette ad attraversare il mare, in una lotteria che troppo spesso va male», spiega Walter Massa, presidente nazionale Arci. «Dopo la grande e silenziosa manifestazione di Steccato di Cutro, dopo l’abbraccio dell’Italia della solidarietà e dei diritti alle famiglie delle vittime, torneremo in piazza nelle prossime settimane per denunciare il tentativo di ritorno ad un pessimo passato e per smascherare il favoreggiamento dell’irregolarità da parte di questa maggioranza di governo».

«La strage si ferma solo se si mettono in campo strumenti diretti e urgenti per fermarla, un programma di ricerca e salvataggio, e non inventando facili capri espiatori», continua Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione Arci. «Il Governo Meloni invece non ha risposto alle domande che quella tragedia ci pone e continua ad agire per mero interesse privato, contando, con interventi propaganda, di alimentare odio e razzismo e raccogliere consenso. Il decreto migranti approvato durante il Consiglio dei ministri a Cutro contiene misure che possiamo definire oltraggiose, prese a pochi chilometri dalle bare che i Ministri si sono guardati bene dal visitare. Arriva una stretta sui permessi per Protezione Speciale, un colpo di coda leghista che comporterà più dinieghi alle domande d’asilo, più persone irregolari, più lavoro nero e quindi più evasione fiscale e contributiva. Un puro atto di propaganda che non affronta e risolve i problemi, ma alimenta odio e razzismo», conclude Miraglia.

Il corteo continua a camminare fra le case vuote e le campagne a poca distanza da Cutro, dove l’altro giorno si è tenuto il consiglio dei ministri che ha approvato il nuovo decreto flussi. «Noi siamo qui dal 27 febbraio per supportare i familiari delle vittime. Dopo la strage è mancata una regia che potesse dare informazioni chiare ai parenti di chi è morto nel naufragio», dice Yasmine Accardo di Mem.Med, associazione che si dedica alla ricerca dei migranti dispersi nel mar Mediterraneo. «L’altro giorno eravamo accanto ai familiari che hanno organizzato un sit- in contro lo spostamento delle salme. Non erano stati avvisati. Molte persone aspettano che il proprio caro venga restituito dal mare. Avere un corpo è il diritto al lutto».

La manifestazione imbocca una strada che porta su una spiaggia poco distante dal luogo in cui si trova ancora il relitto, su cui non è stato disposto nemmeno ilsequestro, insieme ai giocattoli e ai vestiti dei bambini che il mare riporta a galla giorno dopo giorno. Come la settantaquattresima vittima ritrovata proprio ieri mattina: una bambina. «Come solidali, a Catania abbiamo organizzato un presidio davanti al porto dove da giorni si trovano un sommergibile e un incrociatore turchi. Abbiamo voluto ricordare così le responsabilità della Nato nelle guerre del Medio Oriente», ricorda Enrico S. del gruppo Catania solidale con il popolo curdo. C’è un minuto di silenzio e anche il vento non soffia quasi più.

«Aspettiamo come fosse un parto che le onde ci restituiscano un bambino. Per vent’anni c’è stata la Nato in Afghanistan. Poi ci ha abbandonati e ci ha costretti a fuggire. Stamattina ho recuperato il corpo di mia nipote», racconta un familiare davanti a migliaia di persone strette attorno a lui vicino alla riva.

«Noi vogliamo andare via coi corpi dei nostri cari. La prima ministra Meloni non è passata nemmeno al Palamilone per darci conforto, ma ringraziamo il popolo italiano per tutto l’affetto e la solidarietà che ci ha offerto», conclude l’uomo passando il microfono a un giovane siriano. «Porterò per sempre con me il dolore di non aver protetto il mio fratellino di sei anni, che mia madre mi aveva affidato» dice piangendo Leif. «Non dimenticatevi di chi non è sopravvissuto al mare e di chi ancora non è stato ritrovato». Sulla spiaggia è quasi sera. Mazzi di fiori vengono depositati sulla riva, mentre un ragazzo afghano comincia a cantare. Anche lui ha subito una perdita, e questo canto è una preghiera che si alza sul silenzio più forte del rumore delle onde del mare.

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