Scommetto che se dovessi fare la tag cloud con gli appunti della sessione mattutina delle Giornate di Bertinoro la parola “senso” svetterebbe incontrastata su tutte. Per cui ci provo. La questione di fondo sembra legata non alla produzione del senso, ma alla sua accessibilità. E in questo il caso italiano è da manuale, un paradosso vivente. E’ una società che storicamente si è inventata formidabili luoghi di senso: basti pensare all’intreccio tra economia e cultura dell’umanesimo rinascimentale che fa impallidire certi “creative lab” o “distretti culturali” contemporanei. Eppure questa stessa società si è come fermata sulla soglia, non ha fruito dei potenti elementi di significato sedimentati in un substrato così considerevole. Un pò come quando, segnalava uno dei relatori, si si tira dritto davanti a un capolavoro dell’arte. Perché è successo? E soprattutto come si può invertire la tendenza? La risposta oggi più in voga, grazie anche alla crisi, è destrutturare o almeno limitare lo strapotere del mercato e delle sue istituzioni come unico produttore di senso. Ma c’è un problema. Contentere non basta se contemporaneamente non crescono luoghi di senso risultato di un pensiero divergente (anche in senso conflittuale). L’esempio riportato è quello della produzione culturale. Ma aggiungerei anche la fucina dei servizi sociali di cura, di prossimità, di inclusione intorno ai quali, soprattutto nel nostro paese, sono sorte in questi anni molte esperienze associative e di impresa sociale (ops ho fatto una gaffe: a Bertinoro si dice “economia civile”) che hanno elaborato forme alternative di significato rispetto ai rapporti sociali, economici, umani in senso lato. Rimane da capire se queste esperienze sono “precipitate” in culture relativamente stabili, condivise e diffuse da consentire di fare – con fede – un passo oltre la soglia. Si ricordava, a questo proposito, il ruolo delle elite. A me, da psicologo sociale in disarmo, venivano in mente le minoranze attive capaci di elaborare e promuovere nuove rappresentazioni sociali dei fenomeni più rilevanti che fanno “la realtà”. Certo che se ci ostiniamo a trattare (e nominare) queste attività “welfare” forse siamo ancora lontani dall’obiettivo. Mi fermo qui. Anche perché è uscito un post piuttosto cervellotico. Me la cavo riassumendolo nella classica nuvoletta (dove in effetti il senso spicca).
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