Welfare

Sul reddito Meloni sbaglia: occupabile non vuol dire occupato

Il nostro sistema non è in grado di creare posti di lavoro sufficienti per assorbire i disoccupati che oggi ricevono il reddito di cittadinanza. Pensare che rendere le persone occupabili sia uguale a dar loro una occupazione è un errore imperdonabile, tra l’altro con esiti scarsissimi in termini di risparmio di risorse e rischi evidenti sul fronte della pace sociale

di Marco Musella

Dice il proverbio: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e, mutatis mutandi, si può dire che tra occupabilità e occupazione c’è di mezzo il mare. Il mare in questo caso è un sistema economico – che tra l’altro oggi si avvia verso una recessione che sembra inevitabile, soprattutto se la guerra continua – e sociopolitico che stenta a potenziare adeguatamente i settori labour intensive come servizi di cura e cultura. Soprattutto in alcune aree del Paese, val la pena che qualcuno informi il Governo, il nostro sistema non è in grado di creare posti di lavoro sufficienti per assorbire né i disoccupati che oggi ricevono il reddito di cittadinanza né quelli che sono sostenuti dalle famiglie e che non vedono l’ora, anche loro, di andare a lavorare. Purtroppo, poi, ci sono anche molti casi (vedi Whirpool) nei quali persone occupate e occupabili vengono espulse dai processi produttivi.

Pensare che rendere le persone occupabili sia uguale a dar loro una occupazione è un errore imperdonabile che il nuovo Governo rischia di compiere solo a poche settimane dal suo insediamento; tra l’altro con esisti scarsissimi in termini di risparmio di risorse e rischi evidenti sul fronte della pace sociale. Ma vale davvero la pena? Perché le persone in difficoltà non dovrebbero prenderla come una vera e propria provocazione, soprattutto in presenza di altre misure fiscali che proteggono i redditi medi o quelli alti? Occupabilità è una bella parola, sono d’accordo: non si può non condividere l’idea che un Paese con più persone che sono dotate di carattere, competenze e conoscenze tali da essere facilmente impiegabili è un Paese migliore! La parola è ancora più bella in inglese employable perché richiama in modo chiaro le abilità … e un mondo dove ci sono più abilità è senz’altro un mondo migliore. Tuttavia, bisogna chiedersi prima di buttare a mare il reddito di cittadinanza come misura rivolta a tutti coloro che versano in situazioni di povertà, se aumentare l’occupabilità equivale a tirar fuori, qui ed ora, le persone dalla povertà.

Al di là della questione di definire quali strumenti siano in grado di aumentare l’occupabilità, è, francamente, difficile capire quale ragionamento spinge il Governo a pensare che la maggiore occupabilità si trasformerà facilmente in maggiore occupazione. Esistono davvero oggi in Italia tante vacancies, posti vuoti disponibili, con retribuzione adeguata che sono liberi perché non ci sono persone “occupabili”? Se, invece, come continuiamo a credere in tanti, la disoccupazione ha origine nella assenza di una sufficiente domanda di lavoro, aumentare l’occupabilità serve a poco sul fronte della riduzione della disoccupazione e può alimentare, in assenza di misure che sostengono il reddito, delusione e rabbia.

Parlare di mercato del lavoro, occupabilità delle donne e degli uomini, di anziani espulsi dai processi produttivi e di giovani in cerca di prima occupazione è discutere di cose importanti. Prendere in esame strategie e metodi per migliorare conoscenze, competenze e abilità delle persone è necessario e utile a cercare rimedi di medio-lungo periodo ai problemi che vivono le nostre società, ma si tratta di questioni che vanno ben al di là della misura reddito di cittadinanza e che, se devono proprio entrare nel dibattito sulla riforma di esso, lo devono fare in una prospettiva che tiene in vita lo strumento perché tiene in vita l’idea che la povertà è una piaga che va prima o poi eliminata (obiettivo 1 dell’agenda dello sviluppo sostenibile); solo così si delineeranno meglio i contorni di una misura assistenziale che può, e deve, essere quanto più possibile a servizio di una piena emancipazione delle persone da una condizione che esse si trovano a vivere quasi sempre senza esserne stati la causa. Tra l’altro non va dimenticato che solo se il Governo si muoverà in questa direzione si troverà in linea con l’art. 38 della nostra Carta Costituzionale che recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”

*Marco Musella, presidente di Iris Network

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.