Salute
Sul fronte anti-aids
Parla Elisabeth Tarira, direttrice dell'ospedale Saint Albert, che ha salvato 2mila bambini dello Zimbabwe dal contagio
Lavorano per una settimana e nella settimana successiva vanno alla ricerca di cibo. È questa la vita degli infermieri dell’Ospedale Saint Albert in Zimbabwe, uno dei fronti su cui si combatte la lotta dell’Aids in Africa. Lo stipendio statale di un infermiere al momento è di mezzo centesimo di dollaro al mese, quello di un medico è un centesimo di dollaro, a causa dell’inflazione arrivata a 230 milioni %.
Elisabeth Tarira, chirurgo e missionaria zimbabwana, è una forza della natura. L’ultima impresa cui si è dedicata è stata seguire i lavori per la costruzione di una piccola diga, l’unico modo per poter far arrivare l’acqua corrente all’ospedale, al confine con il Mozambico, che fino all’anno scorso aveva dovuto farne a meno. «Al programma “Fermiamo l’Aids nascere”, per interrompere la trasmissione del virus da mamma a bambino abbiamo aggiunto un altro programma per salvare i genitori sieropositivi» racconta, «Abbiamo anche un programma di lotta alla malaria con l’Organizzazione mondiale della sanità perché questa è una zona endemica». Poi la scuola infermieri: «Abbiamo formato 50 inferimeri, 24 sono stati assunti nel mio distretto. Il resto sono sparsi in tutto il Paese».
In Zimbabwe le statistiche degli ultimi anni relative alla lotta all’Aids aprono qualche speranza. «Secondo le ultime ricerche fatte qua da UnAids, la prevalenza della popolazione affetta dal virus è scesa dal 30% al 16%» afferma Tarira. «Questo accade anche perché la gente sta morendo. Vogliamo però credere che lo sforzo che si sta facendo da parte di tante persone, dal ministero della sanità stesso che cerca di sensibilizzare la gente, abbia dato qualche risultato. Qualche impatto c’è, lo vedo personalmente» afferma la direttrice del Saint Albert. «Sono 17 anni che facciamo questa campagna di sensibilizzazione e prevenzione dell’Aids. Nel mio distretto la prevalenza era del 23%. Ho fatto ricerche quest’anno e la prevalenza è risultata del 4 per cento, su un territorio di 130mila persone. Non volevo crederci. Sono statistiche che dobbiamo controllare, ma di sicuro una diminuzione c’è stata».
Secondo la direttrice del Saint Albert è vero che le nuove infezioni stanno diminuendo, e la gente è più formata. «Penso che in Zimbabwe non abbiamo una famiglia che non abbia avuto un morto di Aids» afferma. «Ognuno è consapevole di cosa comporta questa malattia per averlo vissuto da vicino».
La lotta personale della dottoressa Tarira contro il virus continua però in un Paese, lo Zimbabwe, alla paralisi politica e al collasso economico, con un’inflazione arrivata a 230 milioni %, mentre la crisi alimentare colpisce almeno 5 milioni di persone. «Tutto il Paese è colpito dalla fame» afferma il medico zimbabwano. «Per l’ospedale vado a fare la spesa in Sudafrica, perché in Zimbabwe non si trova nulla. Gli infermieri fanno quello che possono, ma solo grazie al sostegno di organizzazioni non profit come il Cesvi di Bergamo riusciamo a garantire loro un minimo di compenso».
E i farmaci anti-aids? «Arrivano, ma non sono molti, non riusciamo a coprire tutti i pazienti. E poi non c’è solo Aids, abbiamo anche tutte le altre malattie più comuni, quelle che sarebbero prevenibili e che in Europa avete debellato, come il colera».
Il progetto del Cesvi
Il progetto “Fermiamo l’Aids sul nascere”, è stato avviato dal Cesvi nel piccolo ospedale Saint Albert in Zimbabwe e ad oggi ha salvato dal contagio circa 2mila bambini. Il programma prevede una terapia farmacologia per ridurre la trasmissione del virus dalle mamme sieropositive ai neonati oltre a un programma di prevenzione e assistenza alimentare e psicologica alle mamme; creazione di strutture di accoglienza e di lotta all’esclusione sociale per gli orfani dell’Aids; supporto all’assistenza medica per i malati di Aids (accesso alle cure con farmaci antiretrovirali); promozione di campagne educative e di prevenzione con il coinvolgimento della popolazione e delle istituzioni locali.
La nuova sfida del Cesvi in Africa è prendersi cura delle mamme affinché possano crescere i propri figli e accompagnarli nell’infanzia e nell’adolescenza. Il progetto pilota per la cura di 120 mamme malate di AIDS è partito nell’Ospedale Saint Albert nel gennaio 2004: la terapia antiretrovirale per una mamma costa 1 euro al giorno.
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