Welfare

Suicidi e sovraffollamento. Antigone: «Bene conoscere il problema, ma non basta»

Nella sua relazione a Montecitorio, la premier ha parlato di giustizia solo per rapidi accenni, e lo ha fatto ricordando il dramma dei 72 suicidi nell’anno in corso, «ma in chiave poco rassicurante quando dice che il rimedio al sovraffollamento e ai suicidi in cella è costruire nuovi penitenziari», secondo il giurista e presidente dell'Associazione Antigone Patrizio Gonnella

di Luca Cereda

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento ha parlato di giustizia, di suicidi in carcere e Polizia Penitenziaria: «Dall’inizio di quest’anno sono stati 71 [72 oggi, venerdì 28 ottobre. Un 24enne si è tolto la vita a Torino dopo pochi giorni di carcere] i suicidi in carcere. È indegno di una nazione civile, come indegne sono spesso le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria», ha aggiunto Meloni, ricordando che «legalità vuol dire anche una giustizia che funzioni, con una effettiva parità tra accusa e difesa e una durata ragionevole dei processi, che non è solo una questione di civiltà giuridica e di rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, ma anche di crescita economica. Lavoreremo per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri»

Ogni vita persa è una tragedia, «ma 72 suicidi sono più di questo, perché significa che c’è qualcosa di sistemico e sistematico. Queste parole della presidente Giorgia Meloni però sono una presa di coscienza del fenomeno. Bisogna però capire da che parte si orienta la risposta», sostiene il giurista e presidente dell'Associazione Antigone Patrizio Gonnella.

Non c’era, come prevedibile per i tantissimi temi toccati, molto spazio per la giustizia, certo. E il poco che Giorgia Meloni ha trovato nel suo discorso è stato corredato da accenni come sul carcere. La premier parte dalla «certezza della pena», dicendo che è un «principio basilare». E traduce il concetto così: «È indegno di un paese civile che dall’inizio dell’anno vi siano stati 71 [72 oggi] suicidi in cella», scempio che secondo Meloni va stroncato con un «nuovo piano carceri». Vecchia idea della cultura "preventiva”, per non dire giustizialista: all’indecenza delle condizioni disumane dei reclusi si risponde con più spazi per rinchiuderli, non con le misure alternative. E Meloni si associa a quel filone pochi minuti prima che, da via Arenula, il suo guardasigilli Carlo Nordio diffonda una nota in cui ribadisce più volte che «la pena non è solo carcere». Il neo ministro della giustizia, appena nominato ha subito aggiustato il tiro del nuovo governo passando dalla certezza della pena alla certezza del diritto: «Non si combatte il sovraffollamento delle carceri depenalizzando – ha detto -. Io credo nel valore e nel principio della certezza del diritto. Liliana Segre ha detto che noi dobbiamo sapere scegliere il giusto. Ma come si fa ad aiutare chi sceglie il giusto, se chi sceglie ciò che è sbagliato non paga mai? Credo che la certezza del diritto dipenda anche dalla certezza della pena».

«Crediamo sia antiquata ed errata la reazione alla mancanza di spazi in carcere, che portano come concausa ai tantissimi suicidi di quest’anno e degli anni scorsi, con la costruzione di nuove carceri. È anche una risposta antieconomica, con tempi lunghi e molto superata. Non vale né socialmente né economicamente. Inoltre i 7-8 mila detenuti in più risposto ai posti disponibili negli istituti di pena, richiederebbero almeno trenta nuove carceri da 250 posti circa con nuovi dirigenti, nuove figure amministrative e agenti. Un costo che sarebbe da sostenere con nuove tasse che oggi francamente ci sembra improbabile vengano introdotte per questo», spiega Gonnella.

La neopresidente del Consiglio insomma dà l’impressione di essere inchiodata, in materia di giustizia, su un programma e un orizzonte da "legge e ordine", non dissimile dalla piattaforma di opposizione appena archiviata. Non è un dato definitivo, tenuto conto che in un discorso di un’ora e dieci, lo spazio dedicato ai temi del processo, della magistratura, dei tribunali sovraccarichi e spopolati di personale è stato limitatissimo, quasi marginale. E che, insomma, è mancata un’articolazione in grado di far capire cosa davvero la premier intenda fare in quell’ambito.

Da Antigone però, insistono su un punto: «Per superare il sovraffollamento riteniamo che si debba superare l’idea che l’unica pena sia il carcere: Servono pene di tipo intedittivo, di tipo ablativo – ovvero sanzioni amministrative -, alternative, ricorrendo ai lavori di pubblica utilità e alle messe alla prova. Carlo Nordio aveva elaborato una bozza di riforma del codice penale che andava in questa direzione. Speriamo che si diversifichino le pene», aggiunge il presidente dell’associazione penitenziaria. Questa strada secondo patrizio Gonnella porterà ad un numero di persone in carcere che consenta una gestione trattamentale efficace per gli spazi esistenti e il personale in servizio dentro gli istituti di pena: «È allora – conclude Gonnella – che riteniamo si possa rendere umana e proficua la pena. E qui c’è un lavoro già fatto, quello della commissione Ruotolo che dava indicazioni su come modernizzare e umanizzare la situazione in carcere. Tenendo conto anche degli operatori e degli agenti di polizia, non in modo ideologico come fatto dal leader della Lega Matteo Salvini andando fuori del carcere di San Gimignano a dare solidarietà a chi era accusato di violenza, ma occupandosi dei turni di lavoro, della formazione e delle condizioni della loro salute mentale, assumendo persone con percorsi universitari sia tra gli agenti che tra gli educatori, e riconoscendo anche economicamente il loro lavoro».

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