Ridurre per poi eliminare dal nostro quotidiano la plastica monouso è un buon obiettivo per il 2019, a cui tutti possiamo partecipare.
Cosa fare per un mondo plastic free:
- Utilizzare sacchetti in tessuto invece di quelli monouso, anche per gli acquisti non alimentari
- Verificare che i sacchetti utilizzati per la raccolta dell'umido, monouso biodegradabili, siano anche compostabili, come dichiarato dai marchi certificati che devono necessariamente essere stampati sul prodotto
- Utilizzare brocche da tavola per l'acqua del rubinetto oppure borracce e thermos per il trasporto invece delle bottigliette. Vetro e alluminio sono lavabili e riutilizzabili facilmente, a differenza del PET con cui sono fatte le bottigliette che posso facilmente contaminarsi e non andrebbero mai riutilizzate, come suggerisce il Consorzio Acqua Potabile
- Utilizzare piatti, bicchieri e posate in ceramica o plastica durevole, se si ha la possibilità di lavarli, oppure in materiale monouso certificato come biodegradabile e compostabile
- Fare in modo che la macchinetta del caffè in ufficio non eroghi più i bicchierini di plastica e usare invece tazze di ceramica o vetro (basta chiedere al servizio manutenzione che periodicamente rifornisce la macchina)
- Preferire contenitori per riporre il cibo in vetro, lavabili e riutilizzabili. Il vetro è un materiale inerte e non tossico anche quando contiene cibo ad alte temperature, a differenza della plastica che rilascia interferenti endocrini, come dimostrato dal progetto europeo LIFE PERSUADED, una ricerca durata quattro anni, dell’Istituto Superiore di Sanità
- Per la lavatrice utilizzare poco detersivo, preferire quello liquido, lavare a basse temperature, lavare meno
- Preferire vestiti in fibre naturali quali cotone, lana, lino, canapa, seta e ridurre al minimo i capi sintetici o misti per evitare le micro plastiche
- Nei prodotti di bellezza scegliere quelli che non contengono micro plastiche, come gli scrub a base di gusci triturati (in attesa della messa al bando dal 2020)
- raccogliere i rifiuti di plastica (e non) gettati per terra, in spiaggia, nei parchi e gettarli nei cestini, meglio ancora se nei contenitori per la raccolta differenziata
La plastica ha cambiato il nostro mondo, permettendo la produzione di beni a basso costo, leggeri, colorati, infrangibili, con caratteristiche tecniche uniche che hanno permesso la loro diffusione in tutto il mondo e in tutti i settori. La sua grande diffusione è diventata però un problema, visto che proviene dal petrolio e dopo l’utilizzo può inquinare. Viene utilizzata anche per imballaggi e oggetti che vengono utilizzati solo per pochi minuti e poi, nella maggior parte dei casi, restano nell’ambiente per secoli, degradandosi a poco a poco ed entrando direttamente nella nostra catena alimentare.
Le masse di frammenti di plastica che galleggiano negli oceani e le spiagge coperte di vecchie bottiglie e pezzetti di reti da pesca sono immagini che tutti abbiamo in mente quando parliamo di inquinamento da plastica.
Alcune importanti misure sono state prese per ridurre questi fenomeni.
L’Italia ha anticipato la normativa europea sostituendo le borse di plastica monouso per la spesa e per i reparti frutta e verdura, con omologhi in materiale biodegradabile e compostabile, come raccontato nel post dedicato alle novità ambientali del 2018.
Ora dal 1 gennaio 2019 grazie a un emendamento proposto da Ermete Realacci, i cotton fioc saranno prodotti e commercializzati solo se biodegradabili (ricordando che gli otorini ne sconsigliano in ogni caso l'uso).
Secondo un recente censimento a cui ha partecipato anche Legambiente i cotton fioc rappresentano circa il 4% dei rifiuti censiti sulle spiagge europee, ma salgono 5,2% nel Mar Mediterraneo.
Occorrerà invece aspettare altri 12 mesi per il previsto stop all’uso delle microplastiche nei cosmetici da risciacquo, una misura che avrà un forte impatto globale visto che sono Made in Italy la maggior parte dei cosmetici prodotti al mondo.
Sono primi passi importanti a cui si affiancheranno dal 2021 decisioni europee che vieteranno posate, piatti, cannucce, imballaggi per alimenti pronti monouso di plastica, che fanno parte dei dieci prodotti i che rappresentano il 70% dell’inquinamento delle spiagge e degli oceani.
Nel mondo si calcola che venga utilizzato un miliardo di cannucce monouso al giorno. Un miliardo al giorno. Una quantità enorme per un prodotto sostanzialmente inutile.
La commissione Ambiente della UE voterà sul testo nel gennaio 2019, entro due anni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ue i Paesi membri dovranno recepire la direttiva e rendere così illegali questi prodotti monouso, di cui esistono alternative.
Greenpeace Italia ha dichiarato che «quello lanciato dall’Unione europea è un segnale importante che risponde alle richieste e alle preoccupazioni di migliaia di cittadini. Ancora, però, si è lontani da una vera soluzione. Non introducendo misure vincolanti per gli Stati membri per ridurre il consumo di contenitori per alimenti, e ritardando di quattro anni l’obbligo di raccogliere separatamente il 90 % delle bottiglie in plastica, l’Europa regala così alle grandi multinazionali la possibilità di fare ancora enormi profitti con la plastica usa e getta a scapito del Pianeta».
Per spingere il Ministro dell’ambiente e del mare a varare una serie di misure tra cui l’ introduzione di una cauzione sugli imballaggi monouso, che siano messe fuori produzione in Italia le microplastiche da tutti i prodotti e non solo dai cosmetici , siano censiti e poi recuperati gli attrezzi da pesca dispersi in mare è ancora possibile firmare la petizione per un Mediterraneo plastic free, lanciata lo scorso agosto.
La petizione, lanciata dl WWF Italia, ha superato le 600.000 firme e vuole raggiungere il milione.
Dopo aver contribuito alla messa al bando delle microplastiche nei cosmetici, Marevivo ha lanciato da poco la campagna #StopMicrofibre, per sensibilizzazione sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice.
Dalle lavatrici di casa finiscono nelle acque di scarico frammenti di prodotti come il poliestere, il nylon, l’acrilico, che rappresentano circa il 60% del materiale di cui sono composti i nostri capi d’abbigliamento. I caldi, colorati ed economici maglioni in pile, le camice in poliestere e le calze in nylon sono quindi nocivi per gli ecosistemi visto che ad ogni lavaggio si staccano pezzettini invisibili di tessuto che attraverso gli scarichi finiscono poi nei depuratori che solo in parte riescono a filtrarli.
Nondimeno, una volta entrati nell'ecosistema marino, i microframmenti nocivi iniziano ad assorbire sostanze inquinanti e tossiche e vengono ingeriti dagli organismi che li scambiano per cibo; si accumulano nei tessuti in concentrazioni sempre crescenti via via che si sale nella catena alimentare fino a raggiungere potenzialmente l’uomo.
“Sulla tossicità delle microplastiche siamo all’anno zero. Ne sappiamo pochissimo”, spiega Andrea Binelli, co-autore di un recente studio, intervistato da La Stampa – Tanto che la EU non li ha ancora inseriti come nuovi contaminanti da ricercare nelle acque potabili. Alcuni Paesi cominciano a bandire o regolamentare l’uso di microsfere plastiche, ma mancano ancora conoscenze sufficienti per una normativa efficace”
Qui un efficace video sui danni che provocano le micro fibre.
Investire su tessuti sintetici più eco-friendly potrebbe rappresentare una valida soluzione visto che il 60% di tutti gli indumenti a livello globale è realizzato in poliestere ma è necessario anche migliorare il sistema di filtraggio dei depuratori delle acque reflue, è quanto raccomanda Marevivo. Che chiede inoltre a tutti di ridurre quanto più possibile gli acquisti, di riciclare e riusare.
Lo studio completo sulle microplastiche
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