Mondo

Sudan. I mille dubbi sui negoziati. Darfur, tutti stanchi di cercare la pace

Dopo la minaccia di ritiro del coordinatore Onu per le emergenze Jan Egeland, le parti in causa riprendono il dialogo. Ma la gente ci crede poco.

di Joshua Massarenti

Dal nostro inviato a Nyala, Darfur

La guerra con tutti suoi orrori, l?ultimo dei quali risalente al 28 settembre scorso, quando i soliti, temutissimi janjaweed (miliziani armati sostenuti da Khartoum) hanno attaccato il campo profughi di Aro Sharow, nel Nord Darfur, uccidendo 32 persone e ferendone altre decine. è questa la prima fotografia del Darfur, martoriata regione del Sudan occidentale che oggi conta circa due milioni di sfollati e che ha visto morire già 180mila suoi figli. Ed è questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso, mandando fuori di matto Jan Egeland, il coordinatore Onu per le emergenze umanitarie, pronto a minacciare il ritiro della comunità internazionale qualora le parti in conflitto non cessino il fuoco contro i civili innocenti e contro gli undicimila operatori umanitari presenti in Darfur, soggetti ad «attacchi e sequestri continui».
Al termine di un mese di settembre durissimo, le minacce di Egeland hanno sortito qualche effetto. Che siano quelli sperati sarà tutto da vedere, ma intanto, sia i ribelli dell?Slm/a (Movimento/Esercito di liberazione del Sudan) e del Jem (Movimento per la giustizia) sia il regime di Khartoum hanno deciso di rilanciare i negoziati di pace, accentando di incontrarsi a Abuja, in Nigeria, in un clima di massima di confusione. E non solo perché si tratta del sesto round di negoziati avviati nel lontano agosto 2004 – la stanchezza si fa pesantemente sentire – ma perché alcuni protagonisti del conflitto appaiono per lo meno disorientati. Il riferimento è ai ribelli e alla loro componente più importante, l?Slam/a, in preda a profonde divisioni interne che stanno seriamente preoccupando la comunità internazionale. A Vita, un addetto militare di un?importante ambasciata occidentale ha rivelato che «con questo round di discussioni preferiamo non illuderci troppo. Intanto perché l?Slm/a è soggetto a spaccature interne pericolose, che portano alcuni suoi comandanti locali a contestare la leadership sfogando la loro rabbia con atti di banditismo incontrollabili che colpiscono sia i civili sia gli umanitari. Di conseguenza, la gente inizia a non credere più in loro». E il Jem? «Non conta nulla, perché il suo bacino di sostenitori è insignificante». A Khartoum, si vuole approfittare di questo passaggio a vuoto. Ma non tutti allo stesso modo. Già, perché il 22 settembre scorso il Sudan si è dotato di un governo di unità nazionale composto dagli uomini dell?ex regime di Omar el Beshir, dagli ex ribelli sud sudanesi dell?Splm/a e dall?opposizione civile. Importante è osservare che per la prima volta dall?inizio del conflitto, tra i rappresentanti del governo, ci saranno ministri sud sudanesi, favorevoli a una pace che, secondo molti, il presidente Beshir non vuole. Al contrario, altri esperti sostengono che, avendo in mano i ministeri chiave del nuovo regime sudanese (interni, energia e difesa), Beshir imporrà la sua linea politica, resa ancor più intransigente dopo che l?inviato dell?Unione africana in Sudan, Baba Gana Kingibe, ha accusato Khartoum di aver condotto nel settembre scorso attacchi militari in Darfur. Accuse respinte dall?esercito sudanese, pronto a ricordare le aggressioni subite nel Sud Darfur per mano ribelle.
Intanto, a patire le conseguenze peggiori del conflitto, sono sempre gli stessi. Non ultimo, Mahmud, un robusto 27enne che di professione faceva il sarto ad el Geneina (Ovest Darfur) e che da sette mesi fa la guardia in pianta stabile presso la guest house della Cooperazione italiana a Khartoum. Come tanti altri, sogna la pace, ma senza illudersi. «Perché basta che qualcuno voglia proseguire la guerra, che guerra sarà». E a Nyala non la pensano in modo tanto diverso.

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