Crisi umanitarie

Sudan, due anni di guerra dimenticata: 24 milioni di persone patiscono fame e sete

Coopi, organizzazione presente in Sudan da oltre vent’anni, non ferma le sue attività di soccorso e supporto alla popolazione, nonostante le carestie e le proibitive condizioni igieniche e sanitarie. In due anni il conflitto ha causato 29mila vittime, di cui 7.500 civili, e generato un’escalation di violenze contro i minori

di Redazione

Dallo scoppio della guerra in Sudan, il 15 aprile 2023, oltre 12 milioni di persone sono state costrette a sfollare. Tra esse, quasi quattro milioni hanno cercato rifugio oltre confine, in Paesi come Egitto, Ciad e Sud Sudan, che già affrontano forti pressioni umanitarie. Quasi un terzo della popolazione sudanese, dunque, è sfollato: la metà è composta da bambini. Il quadro è aggravato dalla crisi alimentare, che colpisce 24 milioni di persone, e dall’emergenza idrica che costringe 270mila persone, inclusi 130mila bambini, ad affrontare enormi difficoltà nel reperire acqua potabile.

«In Sudan è in corso una delle più gravi emergenze umanitarie del nostro tempo», sottolinea Ennio Miccoli, direttore di Cooperazione Internazionale – Coopi, organizzazione umanitaria presente in quel Paese da oltre vent’anni. «Nonostante questo, in un contesto globale segnato da conflitti ad alta intensità, quello sudanese è rimasto ai margini dell’attenzione internazionale, pur avendo effetti devastanti su scala nazionale e regionale».

Anche i servizi di base sono compromessi: nelle zone più colpite dal conflitto, solo il 25% delle strutture sanitarie è rimasto operativo, mentre la mancanza di acqua e le condizioni igieniche precarie stanno favorendo la diffusione di malattie come colera, dengue e malaria. «Quando è scoppiata la guerra, abbiamo dovuto affrontare grandi sofferenze per ottenere cibo e acqua potabile», spiega Abu Hassan, abitante di Tawilla, che all’inizio del conflitto è stato costretto a fuggire dal suo villaggio con la moglie e i sei figli. «La mia famiglia doveva comprarla dai carretti trainati dagli asini, ma era molto costosa e non sufficiente: consumavamo solo una tanica da 20 litri al giorno. Quando abbiamo finito i soldi, abbiamo smesso di lavarci e di lavare i vestiti. Abbiamo lasciato le nostre case, insieme ad altre famiglie, e abbiamo percorso 61 km a piedi, senza acqua né cibo. Dopo due giorni di sofferenza sulla strada, siamo arrivati a El Fasher, dove abbiamo trovato molte persone sfollate nella scuola di Tombasi e abbiamo deciso di restare».

Abu Hassan è una delle 125 milioni di persone che Coopi ha supportato in sei decenni di attività in 70 Paesi del mondo, con oltre tremila progetti e l’impiego di 5.400 operatori espatriati e 68mila operatori locali. In due anni il conflitto ha causato quasi 29mila vittime, di cui 7.500 civili, e generato un’escalation drammatica di violenze contro i minori, con un aumento del 480% delle gravi violazioni sui bambini.

Gli operatori di Coopi assistono i rifugiati in Sudan

Nel 2024, gli operatori di Coopi hanno realizzato 10 progetti a sostegno della popolazione, raggiungendo quasi 150mila persone negli Stati del Nord Darfur, di Gedaref (dove si trova il campo rifugiati di Tuneydba e Um Raquba), di Khartoum, del Nord e del Fiume Nilo. «Siamo presenti in Sudan dal 2004 e in 21 anni abbiamo portato avanti 119 progetti, sostenendo 4,2 milioni di persone», sottolinea ancora Miccoli. «In questo momento di emergenza, abbiamo riorganizzato la nostra presenza nel Paese per rispondere in modo più efficace alla crisi in corso. Ci siamo concentrati soprattutto nel garantire acqua potabile e nel distribuire beni di prima necessità, come contenitori per l’acqua, utensili da cucina e materiali per costruire ripari temporanei, che sono indispensabili per la vita nei campi profughi».

In particolare, nel distretto di Mellit (dove vivono 50mila persone sfollate ed è in corso una carestia) Coopi ha avviato il progetto “Azione precoce di risposta integrata alla crisi alimentare nello Stato del Nord Dafur”, con l’obiettivo di garantire l’accesso a sementi agricole e acqua potabile. L’organizzazione, inoltre, ha distribuito capre alle famiglie vulnerabili, in particolare quelle a guida femminile tra gli sfollati interni. «Nonostante le difficoltà di accesso a Mellit, una zona fortemente isolata, Coopi e i suoi partner locali hanno continuato a fornire aiuti umanitari, raggiungendo sia le persone sfollate, sia le comunità ospitanti, duramente colpite dal conflitto e dalla carestia».

Quella in Sudan è solo una delle 50 guerre attive nel 2024, anno che ha visto un incremento del 25% degli episodi violenti rispetto al precedente e oltre 240mila vittime, il numero più alto registrato dal 2019 ad oggi. Nei primi tre mesi del 2025 sono già morte, a causa di guerre e conflitti, 50mila persone e si prevede che le vittime continueranno ad essere più di 20mila al mese, mentre milioni di persone vivranno in situazioni di grave emergenza e saranno costrette ad abbandonare le proprie case.

«Attualmente sono 305 milioni le persone che nel mondo hanno bisogno di aiuto umanitario, ma le loro necessità restano spesso inascoltate, se non del tutto sconosciute», commenta Ennio Miccoli. «Ci sono molte aree del mondo in cui la violenza e le crisi umanitarie rimangono nell’ombra. Paesi come Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana e Libano affrontano quotidianamente devastazioni, carestie ed emergenze umanitarie, con un impatto devastante».

Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario di Coopi, organizzazione presente in 33 Paesi del mondo, che attua più di 200 progetti di sviluppo ed emergenza. «Il nostro approccio pragmatico è ciò che ci permette di accompagnare le persone, di supportarle e collaborare con loro da vicino, essendo presenti nei Paesi in alcuni casi da decenni. Il nostro obiettivo è accompagnare le comunità verso percorsi di sviluppo: anche quando vengono interrotti da crisi improvvise, Coopi rimane al loro fianco, come facciamo in Repubblica Centrafricana, dove siamo presenti da 51 anni, o in Repubblica Democratica del Congo, dove operiamo dal 1977. Realizzare tanti progetti in così tanti Paesi è significativo per generare, progetto dopo progetto, un impatto positivo sempre maggiore e per un numero via via crescente di persone e di comunità».

Credits: foto Coopi

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