Mondo

Sudan. Cooperazione d’emergenza. Darfur: obiettivo riconciliazione

Da mesi Intersos opera dov’è in atto "la peggiore crisi umanitaria in atto", come l’ha definita Annan.

di Lucio Melandri

Kathuma è poco più che bambina. Da mesi vive nel campo di Djabal, in Ciad, dove è giunta dopo una lunga fuga dal Darfur. Djabal è un campo d?accoglienza aperto all?inizio dell?anno da noi di Intersos, dove vivono più di 15mila rifugiati. Circa 200mila persone sono fuggite in Ciad dall?inferno del Darfur, «la peggiore crisi umanitaria in atto», come l?ha definita Kofi Annan. Oltre un milione le persone sfollate all?interno del Darfur, in fuga di villaggio in villaggio, alla ricerca di sicurezza, cibo, acqua. A febbraio abbiamo avviato i primi interventi di emergenza, in collaborazione con l?Acnur: due campi di accoglienza nella regione sud-orientale del Ciad, dove i profughi trovano protezione, cibo, ma soprattutto la speranza di vivere. Su un totale di 34mila rifugiati nei campi di Goz Amir e Djabal, l?80% è composto da donne e bimbi che portano sulla loro pelle i segni della violenza. Col sostegno di Echo creiamo nuovi pozzi e distribuiamo attrezzi agricoli. In primavera la situazione degenera in Darfur e l?Onu lancia sempre più forte l?allarme: oltre un milione di persone rischiano di morire. A quel punto avviamo subito un dialogo con le autorità sudanesi. Da giugno, ottenuti i visti per poter raggiungere le zone più estreme, apriamo una base operativa ad Al Geneina, capitale del Darfur occidentale. Da subito, essendo evidente la vastità del problema, stabiliamo le priorità e ci coordiniamo con le altre organizzazioni umanitarie. Con la collaborazione della cooperazione italiana organizziamo un ponte aereo per trasportare alimenti ad alto contenuto proteico, teli di plastica, generi di prima necessità, fuoristrada per raggiungere le aree più lontane, gruppi elettrogeni, cisterne gonfiabili e contenitori per l?acqua. Due obiettivi: raggiungere i profughi nelle aree più inaccessibili e avviare interventi su larga scala per limitare il dilagarsi di epidemie, in particolare l?epatite E. Alle operazioni hanno partecipato finora 13 nostri operatori umanitari che hanno aperto basi ad Habila, Forobaranga, Garsila, Bindizi, a sud di Al Geneina. Nomi sconosciuti, villaggi remoti dove aleggia la paura. I nostri operatori in questi mesi hanno costruito migliaia di latrine, distribuito tonnellate di aiuti, posto le condizioni per il futuro ritorno dei profughi alle loro case, stabilito un rapporto di amore, stima e fiducia. Vitale è il costante dialogo con le autorità locali che si sentono man mano coinvolte: oltre a portare aiuto immediato alle persone colpite, un?organizzazione umanitaria deve infatti sostenere percorsi di dialogo tesi alla riconciliazione e alla pace.


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