Welfare

Sudan: Amnesty, “trionfa l’impunità”

Duro monito di Amnesty international contro una pace in Sud Sudan che sancisce l'impunità per i crimini commessi durante la guerra e in Darfur

di Joshua Massarenti

“Chi risponderà ai crimini?”. Questo il titolo del rapporto pubblicato ieri da Amnesty international che punta il dito contro alcune gravi lacune della pace siglata lo scorso 9 gennaio tra il governo di Khartum e i ribelli dello Spla (l’Esercito di liberazione popolare del Sudan). Al centro delle preoccupazioni di Amnesty, l’impunità concessa ai responsabili dei crimini commessi in Sud Sudan e in Darfur.

Secondo Amnesty, vi sono casi precisi ma “non esausistivi” di violazioni flagranti dei diritti umkani in varie parti del Sudan. Omicidi, torture, stupri, attacchi deliberati contro popolazioni civili indefese, spostamenti forzati di popolazioni e discriminazioni etniche: queste le violazioni che hanno caratterizzato, oltre la guerra convenzionale tra Khartum e lo Spla, 21 anni di conflitto in Sud Sudan, tra le cui vittime si contano le popolazioni dei Monti Nuba (centro del Paese). Violazioni che da almeno due anni stanno segnando il Darfur, nella parte occidentale del Sudan.

Il governo sudanese è giudicato tra i primi responsabili dei crimini perpetrati in Sudan, ivi compreso a nord dove l’opposizione democratica ha subito pesanti repressioni. I ribelli sono invece accusati di sfruttare i civili come “scudi umani”. Civili fra l’altro vittime delle divisioni chen regnano tra i gruppi ribelli che hanno lottato o che lottano tutt’ora contro il regime di Omar el Beshir.

“Numerosi sudanesi hanno espresso a Amnesty international la loro aspirazione alla verità, alla giustizia e alle riparazioni per i crimini commessi nei loro confronti. Gli abitanti del Darfur” prosegue il rapporto, “corrono ancora oggi molti rischi nel denunciare i crimini perpetrati contro i loro parenti e conoscenti”. Tra i Nuba, si spera invece che “in tempo di pace, la verità sarà fatta per la disparizione di parenti e amici”. Inoltre, “le comunità colpite dallo schiavismo nella regione di Bahr El-Ghazal, vogliono che i responsabili vengano giudicati e reclamano nel contempo riparazioni per le vittime”.

Per quanto riguarda le milizaie ribelli, “sono in molti nel sud a temere future esazioni di ribelli che si sono comportate come se non dovessero rendere conto a nessuno” sostiene Amnesty nel suo rapporto.

In fin dei conti, non avendo trattato in modo adeguato le violazioni dei diritti ukmani, i mediatori della pace tra nord e sud hanno fallito. Anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu, nella misura in cui non ha condotto nessuna azione concreta per fermare i massacri in Darfur. Di conseguenza, Amnesty ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu di impegnarsi a far tradurre in giustizia gli autori delle violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario. In tal senso, dovrebbe “sottoporre la situazione al Sudan, compreso in Darfur, alla giurisdizione della Corte criminale internazionale”.

Sul piano interno, il governo e l’ex movimento ribelle dello Spla dovrebbero instaurare con l’aiuto della Comunità internazionale dei meccanismi incaricati di rendere conto dei gravi crimini perpetrati negli ultimi 21 anni di guerra civile e che potrebbero includere una Commissione Verità e Riconcicliazione, “richiesta fra l’altro dalla società civile nel Sud”.

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