Mondo

Sud Sudan: oggi è un anno dall’indipendenza

di Giulio Albanese

È trascorso un anno dall’indipendenza delle regioni meridionali del Grande Sudan, avvenuta il 9 luglio del 2011. Una secessione che ha dato vita al 54mo stato africano, in ottemperanza agli accordi di pace siglati nel gennaio 2005 a Nairobi. Nel frattempo, tra Nord e Sud sono purtroppo riprese le ostilità. Uno scenario determinato dall’incapacità di raggiungere un’intesa soddisfacente sui confini, a cui bisogna aggiungere le altre controversie irrisolte dalla valenza regionale ed etnica, come anche le questioni economiche, riguardanti per esempio il petrolio, le risorse idriche, i debiti e la lotta contro la povertà. Ecco che allora si è generato un vero e proprio esodo dal Nord musulmano verso meridione, da parte di quelle popolazioni di origine nilotica che non vogliono saperne di sottostare alla sharìa, la legge islamica. Da rilevare che l’indipendenza del Sud Sudan, ha lasciato in sospeso il destino di tre regioni ricche di petrolio: la contea di Abyei, lo Stato del Blue Nile e quello del Sud Kordofan. Mentre nella prima, per garantire la pace, è stato inviato un contingente di soldati etiopici e l’estrazione del greggio è stata sospesa, nei due Stati il governo di Khartum pretende di governare con il pugno di ferro, ma la guerriglia dell’Spla-N (il “Sudan People’s Liberation Army – North”) è operativa su gran parte del territorio. In mano ai lealisti restano le città più grandi e il controllo dello spazio aereo da cui vengono lanciate micidiali bombe. Sud Kordofan e Blue Nile sono ufficialmente sotto la giurisdizione nordsudanese, il cui governo non dà i permessi per la distribuzione degli aiuti umanitari. Per quanto concerne il Sud, giovedì scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione che estende per un anno il mandato della missione Onu nelle regioni meridionali, sino al 15 luglio 2013. Il testo invita però il governo sudsudanese ad assumere maggiori responsabilità nella protezione dei civili a cui deve essere garantita sicurezza e libertà di movimento nel Paese. Intanto nel Nord proseguono ad oltranza le manifestazioni contro il regime del presidente Omar Hassan el Bashir che ha imposto alla nazione una ferrea politica di austerity. Per ora la repressione governativa è feroce, fatta di arresti, pestaggi a non finire e tanto gas lacrimogeno. Rimane inoltre aperta la crisi del Darfur (Sudan Nordoccidentale) che, finché non verrà risolta per via negoziale, costituirà un fattore destabilizzante nelle relazioni tra Nord e Sud. Furono infatti proprio gli ex ribelli sud sudanesi dello Spla a formare e finanziare nel 2003 il primo movimento armato darfuriano, l’Esercito di Liberazione del Sudan (Sla). Da quelle parti l’anarchia continua a regnare e sovrana e come al solito è la povera gente a pagare il prezzo più alto. Al di là di quelle che sono le contrapposizioni politiche tra le formazioni ribelli e il governo di Khartum, anche questa guerra è legata al petrolio di cui è ricco il sottosuolo. Una cosa è certa: le speranze di riconciliazione in Sudan sono ancora un miraggio. Molto dipenderà, a parte i tradizionali contendenti sudanesi, dal ruolo dell’Unione Africana (Ua), del mondo arabo (salafiti in prims che vanno per la maggiore nel Nord Africa) e delle grandi potenze come Cina e Stati Uniti. In questo contesto – è bene rammentarlo – la Chiesa Cattolica continua ad essere una delle poche realtà che dimostra nei fatti di avere a cuore il bene supremo della pace.

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