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Sud Sudan, l’unica certezza è il caos

A pochi giorni dalle prime elezioni libere la zona rimane una polveriera pronta ad esplodere. Con il partito del rinvio della consultazione primo nei consensi

di Redazione

Nairobi
Il Sud Sudan è una polveriera pronta ad esplodere. Questa è l’impressione che conservo tornando a Nairobi dopo un viaggio in cui ho visitato le città di Rumbek, Akott, Malakal, Juba ed alcuni villaggi limitrofi per realizzare reportage e servizi per la Rai.
C’è grande fermento per le prime elezioni multipartitiche in programma il prossimo 11 aprile dopo 24 anni di regime del presidente golpista Omar Hassan El-Bashir che da Khartoum governa con mano pesante il più grande Paese dell’Africa. Tutti i sudanesi dovranno eleggere il presidente della Repubblica e i deputati del parlamento, nonché i governatori ed i parlamentari dei 25 Stati federali che compongono il Paese.
Qualche politico bene informato ipotizza però che la scadenza elettorale possa essere rinviata a data da destinarsi. Non mancano i campanelli di allarme. La popolazione Nuba, ad esempio, denuncia irregolarità nella registrazione dei loro aventi diritto al voto: sarebbero molti di più di quelli stabiliti dal governo centrale. Per questo i Nuba chiedono un rinvio di 60 giorni.
Anche il Carter Center ha chiesto il rinvio delle elezioni per rivedere le liste elettorali. Ma c’è il rischio che “salti” anche il referendum del prossimo anno che dovrà sancire l’indipendenza del Sud, vanificando il faticoso percorso politico di pacificazione postbellica.
Il rinvio potrebbe essere accettato senza problemi dai due principali interlocutori fino a ieri in guerra. L’Splm (Sudan People’s Liberation Movement, la principale formazione) teme infatti che nel Sud Sudan le urne possano riservare sgradite sorprese con l’avanzata di partiti minori. Non mancano infatti segnali di aperta contestazione allo strapotere dell’Splm, inficiato da una profonda corruzione nella gestione amministrativa che si sposa con una scarsa qualità della classe dirigente, emersa del resto anche nelle difficoltà incontrate per formare le liste. Il governo centrale di Khartoum invece teme che Yasir Arman (candidato del Movimento di Liberazione del Sud Sudan) possa conseguire un successo elettorale tale da arrivare ad un ballottaggio con il presidente Omar El-Bashir, candidato del Partito del Congresso nazionale.
Brutte notizie arrivano intanto dal Darfur dove la polizia ha circondato in molte occasioni i campi profughi per fermare l’afflusso ai comizi elettorali. Ma i bene informati sostengono che il Partito Umma (islamico, il cui candidato Sadiq al Mahdi era primo ministro quando fu rovesciato nel 1989 da Bashir) si sia alleato con gli ex nemici dell’Splm per dare una lezione al dittatore.
La situazione resta confusa e contrassegnata da atti di violenza. Il presidente Omar El-Bashir però rassicura. Agli inizi di marzo ha infatti affermato che «anche se ci sono numerose richieste, da svariati parti politiche, le elezioni non saranno rinviate». Chi conosce il presidente sa bene che i suoi accordi politici sono scritti sull’acqua e cementati dalla sabbia, sempre in balìa delle convenienze immediate. Bashir ha fatto campagna elettorale promettendo al Sud sviluppo e migliori strutture sanitarie e scolastiche. Non sono mancati scontri ed incidenti, fomentati – ci hanno riferito fonti dell’Splm – da Khartoum per dimostrare che le forze politiche del Sud non sono in grado di amministrare e vanificare così gli accordi di pace sottoscritti nel 2005. Parlando con la gente ho incontrato un corpo elettorale deciso ad arrivare all’indipendenza e quindi disposto a votare anche candidati non all’altezza del ruolo ma di provata fede “sudista” pur di non cadere sotto il giogo del governo centrale e islamico di Khartoum.

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