Non profit

Sud-Sud, la nuova rotta dello sviluppo

Nel 2008, per la prima volta il commercio totale dell'Africa con i Paesi emergenti è stato superiore a quello con l'Europa. Ma il rischio è che sia un copione già visto

di Joshua Massarenti

Per Europa e Stati Uniti la pacchia è finita. L’Africa sta al passo con i tempi e il suo fiuto le dice che è giunta l’ora di guardare oltre l’Occidente. Perché nel Nord del mondo tira aria di crisi e di sfiducia rispetto alle sfide che ci attendono nel XXI secolo. Cina, India, Brasile, Turchia, Corea del Sud. Questi sì che sono Paesi in piena ascesa economica. I partner ideali con cui fare business, promuovere politiche di sviluppo Sud-Sud e stringere alleanze nelle piazze diplomatiche che contano. Non è un’asserzione campata in aria, bensì una svolta epocale che trova riscontro nell’ultimo rapporto pubblicato il 18 giugno scorso dalla Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad). Intitolato «La cooperazione Sud-Sud: l’Africa e le nuove forme di partenariato per lo sviluppo», il dossier mette in luce un dato fondamentale: per la prima volta, nel 2008, il commercio totale dell’Africa con i Paesi emergenti è stato superiore a quello con l’Europa.
Negli anni 80, i Paesi europei si aggiudicavano il 55% del volume totale degli scambi commerciali dell’Africa con il resto del mondo, nel 2008 questo peso non supera il 40%. Nel contempo, il volume delle merci scambiate tra i Paesi africani e quelli del Sud del mondo è passato da 34 miliardi di dollari nel 1995 a 97 miliardi nel 2004, per poi esplodere negli ultimi quattro anni e raggiungere quota 283 miliardi di dollari nel 2008. Una crescita moltiplicata per otto, cioè il doppio rispetto a quella registrata nello stesso periodo tra l’Africa e i Paesi ricchi, che con 588 miliardi di dollari rimangono i principali partner commerciali del continente africano. Ma per quanto tempo? Gli esperti dell’Unctad scommettono sulla capacità delle nuove potenze emergenti di proseguire la loro marcia forzata per ridurre ulteriormente le distanze. Tra queste potenze spicca il ruolo della Cina, protagonista nell’ultimo decennio della penetrazione commerciale più incisiva sul continente africano. «Con scambi pari a 98 miliardi di dollari nel 2008, la Cina è diventata il secondo partner commerciale dell’Africa dopo gli Stati Uniti e di gran lunga il partner più importante tra i Paesi emergenti». A ruota seguono l’India (25 miliardi nel 2008), il Brasile (19 miliardi), Corea del Sud (9) e Turchia (8).
Nonostante la diversificazione dei partner commerciali, l’Unctad mette in guardia gli africani sul rischio di ripetere con i Paesi emergenti gli stessi errori effettuati in passato con l’Occidente. Purtroppo i dati ci dimostrano che il rischio è già realtà: gli scambi commerciali rimangono dannatamente squilibrati.«Nel 1995 gli idrocarburi e le materie prime rappresentavano il 55% delle esportazioni africane verso i Paesi emergenti. Nel 2008 hanno raggiunto quota 75%. Nello stesso periodo, il volume dei prodotti manifatturati esportati è passato dal 18 al 10%. Risultato: cinque Paesi africani (Angola, Algeria, Nigeria, Sudafrica ed Egitto) concentrano oltre i due terzi delle esportazioni africane verso i Paesi del Sud del mondo. Per il responsabile del dipartimento Africa dell’Unctad, Norbert Legale, «la grande sfida del continente africano rimane quella di rafforzare la sua capacità di produzione e passare da un’economia dipendente a un’economia in grado di vendere all’estero beni elaborati localmente». Per il settimanale panafricano Jeune Afrique, l’auspicio rischia di scontrarsi con la realtà: «Che interesse possono avere i Paesi emergenti a favorire la crescita di un’industria africana quando di fronte a loro esiste un mercato potenziale di un miliardo di consumatori che tende loro la mano»? A questa domanda, nessun governo africano ha saputo dare una risposta convincente.


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