Mondo

Su mogadiscio troppi strabismi della stampa

Somalia. Una polemica dell’osservatore Mario Raffaelli / Il rappresentante italiano contesta le interpretazioni dei giornali

di Emanuela Citterio

«Si può decidere che a Mogadiscio sono già arrivati i talebani. Ma chi lo fa, in realtà si mette dalla parte dei fondamentalisti». Il rappresentante del governo italiano Mario Raffaelli, fine diplomatico da anni impegnato a seguire i colloqui di pace in Somalia, è critico verso il modo con cui la stampa del nostro paese tratta i fatti di Mogadiscio.
Volontà di dialogo e prese di distanza dai movimenti terroristici hanno segnato i primi interventi del capo dell?esecutivo del governo islamico di Mogadiscio, Shek Sharif Shek Ahmed. Ma pochi giorni dopo è arrivata come un fulmine a ciel sereno l?elezione a capo del parlamento creato dalle corti islamiche del radicale Shek Hassan Daher Aweis: fondatore del gruppo fondamentalista Al-Ittihat, ricercato dagli Usa per i legami con gruppi terroristici.
Vita: Onorevole Raffaelli, la Somalia è davvero in mano ai fondamentalisti?
Mario Raffaelli: Accentuare questo pericolo non fa che favorire un esito negativo. Mogadiscio non è tutta la Somalia. E la situazione è molto più complessa di quanto raccontano i giornali italiani. Per capire quello che succede oggi bisogna partire da quello che è successo negli ultimi tre mesi. La reazione contro i signori della guerra che per 14 anni hanno devastato l? ex capitale della Somalia, ha consentito agli islamici di prendere la guida di un movimento anti warlords, nel quale sono confluite molte e diverse componenti. La più appariscente è quella delle corti islamiche. Ma non è l?unica.
Vita: Chi è Daher Aweis?
Raffaelli: È il leader di un movimento radicale islamico, Al-Ittihat, che negli anni 90 ha tentato di impadronirsi con la forza del Putland, lo stato nel Nord della Somalia dichiaratosi autonomo nel 98. Allora fu sconfitto da Abdullahi Yussuf, che ora è il presidente del governo di transizione della Somalia. È sospettato di essere legato a gruppi terroristici. Certamente la sua elezione è preoccupante ma non bisogna dimenticare che c?è una dialettica interna all?Unione delle corti islamiche. Ci sono innanzitutto due organismi: a capo della shura, che secondo la tradizione islamica è il luogo del dibattito e del consenso, c?è il radicale Aweis; a capo dell?esecutivo invece c?è Shek Sharif Shek Ahmed, che è un moderato. Bisogna cercare di influenzare i gruppi moderati e questo può accadere se il dialogo va avanti. Se si troncasse il dialogo è evidente che si favorirebbe una radicalizzazione.
Vita: La sconfitta dei signori della guerra ha rimesso in gioco anche gli equilibri internazionali?
Raffaelli: Il 15 giugno si è riunito a New York il gruppo di contatto sulla crisi in Somalia, su iniziativa di Washington. Ora c?è più convergenza fra le diplomazie europee e quella americana.
Vita: È esclusa una missione di peacekeeping di forze internazionali?
Raffaelli: Sì, almeno in questa fase. Il parlamento somalo ha approvato la creazione di una forza di sicurezza nazionale. E bisogna mettere da parte anche la missione sul terreno dell?Unione Africana e dell?Igad, l?Intergovernamental Authority on Development.

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