Non profit

Strumento utile, ma la politica sta rovinando tutto

Parla Gianfranco Bettin, studioso (di sinistra) del caso veneto

di Stefano Arduini

«Il rischio è l’effetto boomerang: con la polizia che invece
di presidiare il territorio, protegge i rondisti» Non sono in molti a sinistra a considerare le ronde un fenomeno da studiare. Più facile liquidarle come qualcosa a metà strada fra la barbarie e la buffonata partorita dal ventre cattivo del Nord-Est leghista. Una scorciatoia che l’ex prosindaco di Venezia, Gianfranco Bettin nella sua veste di ricercatore sociale non ha intenzione di percorrere. Per lui le attività dei volontari della sicurezza, fin dalla loro comparsa, sono state una sorta di fiume carsico da esplorare con la curiosità di chi vuol capire che cosa c’è sotto.
Vita: Il procuratore capo di Venezia, Vittorio Borraccetti sostiene che le ronde sono «un’operazione di propaganda». È d’accordo?
Gianfranco Bettin: Fino ad un certo punto l’esperienza delle ronde è stata la risposta autentica a una preoccupazione civica reale. Niente a che vedere con la propaganda o la demagogia. Al fondo c’era una critica a uno Stato centrale che veniva sentito molto lontano e distratto. Lo straniero fa paura, la politica non se ne cura, l’amministrazione locale non ha i mezzi per aiutarmi e quindi me ne occupo io. Era questo il ragionamento che portava a mobilitarsi farmacisti, operai, artigiani, studenti e casalinghe. Uno spaccato trasversale e non politicizzato.
Vita: Quale era il ruolo della politica?
Bettin: La Lega c’era e spesso fiancheggiava queste iniziative. Ma l’equivalenza “rondista uguale leghista” non stava in piedi. Erano persone che si ritrovavano dopo cena e divisi in diverse squadre battevano il territorio facendo sempre sapere chi erano e dove andavano con anticipo. Ritenevano che la loro presenza, specialmente se annunciata, potesse avere un effetto dissuasivo.
Vita: Lei parla al passato, poi cosa è successo?
Bettin: Il fenomeno non si è esaurito. La vicenda umana di Daniele Pellicciardi (vedi box) è sintomatica. Io leggo positivamente la sua scelta, perché può portare l’esperienza di una persona che ha vissuto sulla sua pelle una violenza talmente scioccante da modificare il comune sentire di un’intera comunità. Lo vedo come l’interprete di una preoccupazione civica che caratterizzava le prime ronde. Un atteggiamento che sopravvive, ma che adesso mi sembra sia sempre più marginale.
Vita: Cosa glielo fa dire?
Bettin: Una volta le ronde interessavano, e non sempre, solo il Carroccio. Oggi, almeno in Veneto, è scesa in campo la destra, non solo quella estrema, ma anche la componente di Forza Italia del Pdl. Remo Sernagiotto, capogruppo in Consiglio regionale, solo per citare un caso, ha promosso una scuola, un’associazione e una struttura per formare rondisti.
Vita: Cosa c’è di male?
Bettin: La politica ha snaturato le ronde. Da strumento di mobilitazione civica si sono trasformati in luoghi di aggregazione al servizio dei partiti. Poi c’è un altro aspetto che non può essere eluso. Le ronde previste dalla legge sulla sicurezza sono la foglia di fico dietro cui la maggioranza nasconde i tagli delle ultime Finanziarie. Con il risultato che si grida all’allarme sicurezza, ma poi si privano le forze dell’ordine degli strumenti necessari per garantirla. Infine c’è da considerare l’effetto boomerang.
Vita: A cosa si riferisce?
Bettin: Spesso accade che la polizia è costretta a sorvegliare i rondisti per evitare che divengano loro oggetto di aggressione. Si crea così un diversivo all’azione prevalente delle forze dell’ordine che sarebbe quella di tutelare la cittadinanza. Ma non è questo l’unico paradosso.
Vita: L’altro qual è?
Bettin: Quando le ronde nascono da input esterni succede che invece da funzionare come detonatore, accentuano la sensazione di insicurezza. Non succede nulla, ma arrivano i rondisti, quindi siamo in pericolo. Ecco cosa scatta nella testa della gente. Non mi pare un gran risultato.
Vita: Bettin, ma in fondo le ronde le piacciono o no?
Bettin: Come ho detto, dei rischi ci sono. Ma d’altra parte sono rischi che vale la pena correre quando sono espressione di una volontà di partecipazione dei cittadini. Anche perché, questo va sempre tenuto presente, da noi le ragioni per aver paura ci sono. E io ritengo sia preferibile vedere la gente scendere in strada, piuttosto che barricarsi dentro casa.

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